da "Alle origini della nozione di poetica" di Eugenio Garin (1985)

Dello scritto di Eugenio Garin riproduciamo l'inizio e la conclusione, rinviando naturalmente al testo nella sua integralità.

In data 1°marzo 1977, presentando una delle tante edizioni del suo primo, ma ben presto 'classico' libro, La poetica del decadentismo, Binni giustamente tenne a sottolineare due cose: 1. l'avvio, in quello scritto, a una lunga e laboriosa indagine sulla nozione di 'poetica' in contrasto con "la concezione estetico-critica crociana e idealistica"; 2. l'inizio, nel medesimo tempo, sul terreno politico, di una concreta attività contro il regime dominante. "Non casualmente - osservava Binni nel '77 - quella attività critica e metodologica si associava allora all'inizio della mia militanza antifascista." Davvero non casualmente. Il libro, scritto nel '35 e uscito a stampa alla fine del '36, si colloca in un momento molto complesso della vicenda italiana: e non solo vicenda politica. In realtà, a guardar bene, non di cose diverse si trattava, ma di piani ed aspetti distinti di un medesimo processo. Le inquietudini e le 'crisi' non facevano che dar voce, a livello di cultura, alla protesta di nuove generazioni che si ribellavano, a un tempo, al regime fascista e a un'atmosfera intellettuale che non appagava più, anche se, spesso, i rapporti sotterranei, e le parentele nascoste con le ideologie dominanti fuggivano. Come sempre, i legami fra processi politici ed espressioni culturali erano estremamente complessi, e nulla sarebbe più ingannevole di una storiografia che li riducesse in termini di corrispondenza simmetrica e di rispecchiamento immediato. Indiscutibili, invece, il dato di fatto che, in quel finire degli anni Trenta, sembrano addensarsi in Italia, e fuori, insoddisfazioni intellettuali d'ogni sorta, mentre crescono ovunque disagio morale e ribellione politica. Sono gli anni in cui dalla Francia rimbalzano in Italia e il 'giovane Hegel' e 'la coscienza infelice', e il confronto con Kirkegaard, e i libri e i saggi di Wahl e Koyré, e sull'onda del riscoperto Dilthey un diverso e più complesso 'storicismo'. Nel '33 Koyré dà inizio al celebre corso di lezioni hegeliane sulla Fenomenologia, con Marx nello sfondo. Nel '28 Husserl aveva letto alla Sorbona le Cartesianische Meditationen, uscite in francese nel '31. Se i surrealisti, almeno in origine, conoscevano di Hegel , per loro stessa confessione, soprattutto il libro di Benedetto Croce (tradotto in francese nel '10), negli anni Trenta il clima a Parigi era molto cambiato. E cambiava anche in Italia, pur con vicende e sviluppi diversi: in quell'Italia divenuta 'imperiale', ma in cui, fra Abissinia e Spagna, fermentavano scontento e preoccupazione. Proprio Binni, commentando più tardi la pubblicazione (del gennaio del '37) degli Elementi di un'esperienza religiosa di Aldo Capitini, annoterà: "mi ricordo dell'impressione prima curiosa poi avvincente che il libro ebbe fra alcuni miei compagni in una scuola di allievi ufficiali, e l'iniziale incredulità sostituita da pensose discussioni che (...) puntavano su di un'ansia comune che in quegli anni oscuri cresceva e si precisava accresciuta dalle avventure e dai delitti fascisti: Abissinia, Spagna." Dirà lo stesso Capitini nel '47, presentando la seconda edizione del suo libro in un clima ormai del tutto diverso: "Mentre si stampavano i miei Elementi di un'esperienzsa religiosa (sulla fine dell'anno 1936), la situazione in Italia, se si guarda dentro i fatti e non alla superficie, era in un momento critico (...). I giovani migliori cominciarono allora a staccarsi dal fascismo." Quello che è sembrato a taluno il momento del massimo consenso e del maggior successo, proprio "quello era invece il momento critico", mentre "si annunciava un'epoca tragica". Sono questi, ancora, rilievi - esatti - di Capitini. La prima edizione della Poetica del decadentismo menzionava, non accidentalmente, con gratitudine espressa a vario titolo, Attilio Momigliano e Luigi Russo, Giorgio Pasquali e Aldo Capitini: uomini, tutti, che hanno significato non poco per l''intelligenza' italiana e che, solo che vi si rifletta un momento, documentano anche quanto sia inconsistente l'immagine, dura a morire, di una cultura monocolore, tutta 'idealistica' e oscillante fra ortodossia crociana e gentiliana. Ma a parte il fatto che fra il '36 e il '38 Croce stava sottoponendo se stesso a non superficiale discussione nei due volumi La poesia e La storia, a parte la sensibilità penetrante - e irriducibile a facili schemi - di Momigliano, a parte l'impetuosa capacità di continuo rinnovamento di Russo, come non sottolineare la presenza, nel mondo in cui Binni si formò, di Aldo Capitini e di Giorgio Pasquali: la ricca e complessa meditazione dcel primo e la eccezionale 'filologia' del secondo? Uno straordinario modello di vita e di riflessione da un lato, un esemplare rigore nella lettura dei testi dall'altro: tali gli uomini che Binni stesso, a diverso titolo, ricordava con gratitudine nel '36 pubblicando il suo libro. Alle loro vicende, alla loro collocazione nella prospettiva di quegli anni converrebbe rifarsi (compresi i 'maestri' Momigliano e Russo), e non solo per 'storicizzare' con esattezza il lavoro di Binni, ma per cogliere la complessità di una situazione che le consuete etichette di idealismo e fascismo per un verso, e per l'opposto di antiidealismo e antifascismo, appiattiscono senza caratterizzazioni né sfumature. (...) Attraverso la riflessione sulla 'poetica' Binni ricolloca la 'poesia' nella storia, e ve la ricolloca senza annullarne il significato peculiare. "L'arte - dice (in Poetica, critica e storia letteraria del '63) - è parte di storia, e interviene nella storia con una sua forza autentica e non come illustrazione e documento, solo in quanto commuta forze ed esperienze vitali e storiche in tensione artistica e in opere artistiche". E soggiunge: "nello studio di poetica come io l'intendo è implicita e comandata una tale disposizione di storicizzazione completa e non solo letteraria. Ma essa rimanda ad una esigenza storico-critica più profonda e complessa, che presuppone a sua volta una visione della storia riccamente problematica e dialettica anche nei rapporti fra le sue forze ed esperienze effettive". In altri termini Binni è ormai pienamente consapevole che, come la nozione di 'poetica' era venuta emergendo nella crisi di una concezione della realtà, così il suo maturarsi si colloca in una nuova concezione del mondo e dell'uomo, della sua attiività e della storia. "Vinta definitivamente la prospettiva" che stacca "la poesia" dalla "cultura" e dal "pensiero di uno scrittore, e poi dice che la poesia è un'altra cosa, che essa sfugge miracolosamente a quel rapporto", Binni ritrova nella poesia la "prova concreta e profonda del nesso inseparabile fra coscienza, tragica e critica, della storia e della vita, e problemi di linguaggio e di tecnica (in un rapporto irreversibile)". Attraverso la 'poetica' è venuta così maturando una più profonda interpretazione della realtà e della storia. È stata, quella della 'poetica' di Binni, una delle vie del 'lungo viaggio' della cultura italiana - e delle più feconde e significative.