da La poetica del decadentismo italiano, "Poetica e poesia" (1936)

È il primo paragrafo del primo capitolo del volume, centrato su quella nozione di "poetica" che impegnerà costantemente la riflessione del critico e del teorico della letteratura, trovando un'ampia esposizione nel saggio metodologico del 1963 Poetica, critica e storia letteraria; i due brani successivi sono tratti ancora dall'Introduzione e dal capitolo I, "Origini e formazione del decadentismo italiano".
Per la sua apertura europea all'analisi del fenomeno del decadentismo, il titolo originario del volume si trasformerà nelle ristampe successive in
La poetica del decadentismo.

Poetica e poesia. Con la parola "poetica" si vogliono essenzialmente indicare la consapevolezza critica che il poeta ha della propria natura artistica, il suo ideale estetico, il suo programma, i modi secondo i quali si propone di costruire. Si distinguono di solito una poetica programmatica e una poetica in atto, ma la parola ha il suo vero valore nella fusione dei due significati, come intenzione che si fa modo di costruzione. Ad ogni modo, come non si identifica con la capacità autocritica dell'artista nell'atto creativo la chiarezza teorica circa l'essenza dell'arte, che egli può avere anche fuor di quell'atto, così non si identifica la poetica con la reale poesia.
Si possono dare molti equivalenti della parola "poetica" nel campo dell'esperienza artistica: è la poesia di un poeta vista come ars, lo sfondo culturale animato dalle preferenze personali del poeta, è il meccanismo inerente al fare poetico, è la psicologia del poeta tradotta in termini letterari, è il poeta trasformato in maestro, quella certa maniera storicizzabile e suscettibile di formare scuola, che si trova sublimata nell'attuazione personale dell'artista, è un gusto che ha radice in un'ispirazione naturale e che si complica su se stesso. Poetica è anche scelta e imposizione di contenuto, tanto più violenta quanto più esteriore è la forza nativa del poeta (per esempio, i futuristi).
Approssimazioni che non si eliminano, ma coesistono nella realtà della poetica, approssimazioni di cui ci si deve servire per distinguere l'idea di "poetica" e ritrovare la spinta costruttiva entro il pieno della poesia realizzata.
Poetica si distingue poi agevolmente da estetica in quanto che, mentre questa teorizza, la poetica ha un valore personale di esperienza e di gusto nativo. L'estetica cerca di dare un rigore scientifico al gusto, la poetica invece vuole concretare la vita attiva di una fantasia, la costruzione di un mondo poetico. Perciò, mentre un'estetica del decadentismo porterebbe alla discussione di problemi filosofici, la poetica ci porta in un campo di indagine letteraria, artistica, ad un'esperienza non teorica ma di testi poetici.
Poetica è il programma che ogni artista, in quanto tale, non solo segue, ma sa di seguire, anche se esplicitamente non ce lo dice. Perciò ogni poetica implica un'"arte poetica", ed ogni artista potrebbe, se volesse, redigere un qualcosa di simile all'Art Poétique di Boileau o di Verlaine, una critica cioè della sua arte e un programma di lavoro. Sarebbe anzi possibile per ogni autore ridurre la propria poetica ad una serie di insegnamenti, che d'altronde acquistano vita reale solo nella poetica in atto della sua poesia.
Nel cogliere il divario fra la poetica e la poesia, fra il programma e la realizzazione effettiva, sta il compito essenziale del critico. Studiare quindi la poetica di un poeta, significa afferrare il centro della sua ars e insieme la qualità della sua personale sensibilità.
La poetica può diventare così, da un lato, una precettistica e, dall'altro, spianarsi nel paesaggio sentimentale del poeta. Si intenda perciò l'estensione della parola e la sua efficacia come espediente di lavoro e di storicizzamento dei poeti in un'epoca spirituale.
Infatti l'utilità critica degli studi di poetica non si avverte soltanto all'esame interno della relazione tra poesia e poetica: vale agli effetti di una storia letteraria in quanto indica, entro i limiti della personalità, il gusto di un'epoca, le tendenze di un periodo letterario. Si può dire anzi che non si fa mai storia di poesia, ma di poetica.

Nei periodi di maggior "letteratura" e di maggior raffinatezza culturale, gli studi di poetica si mostrano ancora più opportuni e giovevoli: nelle civiltà cioè in cui predomina l'ars, abbondano i programmi, ed hanno grande sviluppo le scuole e i cenacoli poetici. E soprattutto pare che gli studi di poetica abbiano maggiore valore quando si tratta di fenomeni letterari europei, quale il decadentismo.

Il decadentismo in Italia. Abbiamo rapidamente visto che senso si debba dare in uno studio di questo genere alla parola poetica (intenzioni, modi cari al cuore del poeta, precetti che egli potrebbe staccare da sé in veste di maestro, contributo della sua intellettualità alla immediatezza della sua sensibilità) e come sia utile parlare, in uno studio sul decadentismo, più di poetica che di poesia. Infatti l'esame della nuova poetica isola il decadentismo più profondamente che una pura valutazione estetica delle singole personalità, e lo vede più che nelle "nature", nella mentalità generale, in ciò che forma il suo clima.
Abbiamo determinato così i limiti dell'espressione "decadentismo", svalutando ogni posizione di condanna ed ogni confusione con "decadenza" in genere, e con "decadenza di romanticismo" in particolare, e affermando come essenziale per questo studio una posizione storica che accolga il decadentismo nella stessa maniera con cui viene accolta l'espressione "romanticismo": cioè come periodo storico individuato da certi speciali caratteri. I quali, in sostanza, si riducono ad un contemporaneo approfondimento del mondo e dell'io fino alla scoperta di un regno metempirico e metaspirituale, da cui le cose e le personalità germogliano con un senso nuovo, con un'anima nuova.
Da questa rivelazione di un nuovo senso della vita nasce una poetica che abbiamo articolato nei vari caratteri comuni ai singoli artisti, e che consiste soprattutto nella ricerca della musica come mezzo di conoscenza sopralogica, mistica. Misticismo, rivelazione, suggestione, evocazione sono infatti le parole che il critico è necessitato ad adoperare nel riprodurre le linee, i connotati di questa poetica.
La nuova mentalità si è formata lentamente dal preromanticismo in poi, attraverso certi lati mistici, e il contributo di alcuni particolari romanticismi (quello di Novalis, o Keats, o Pope), fino a manifestarsi chiaramente, nella metà dell'Ottocento con quelli che possiamo chiamare i padri del decadentismo (Wagner, Schopenhauer, Nietzsche, Poe, Baudelaire), e a prendere completa coscienza nella Francia postbaudelairiana di Rimbaud, Verlaine, Mallarmé.
Dalla Francia il decadentismo si riespande con maggiore forza nelle nazioni che, come l'Inghilterra, erano già preparate per conto loro, e in quelle che, come l'Italia, erano scarsamente europee e fortemente tradizionali.
L'Italia si trova in una posizione specialissima rispetto alla Francia, all'Inghilterra, alla Germania, in quanto che manca di un diffuso e sfrenato romanticismo, di tentativi romantici che possano paragonarsi a quelli di un Novalis o di un Coleridge. Manca di uno sfogo romantico, di una tradizione d'avventura e di rivolta, di cui i nuovi poeti potessero valersi. D'altra parte nella letteratura italiana era tenacissima una tradizione secolare, riportabile a quel letterato superiore che fu il Petrarca, che il romanticismo non riuscì ancora a spezzare se la ritroviamo nella sua ultima e più intensa applicazione nella poesia del Leopardi. Questa tradizione aulica, decorosa non era più sentita dal di dentro, e pesava oppressiva, non amata e pur patita, sui poeti del secondo Ottocento. In tutti, più o meno, c'è la volontà di novità e l'insofferenza della tradizione, ma si tratta più che altro, appunto, di velleità, non di consapevoli superamenti. Spiccano, fra tutti, gli incerti ribelli, gli "scapigliati", i quali, per primi, si accostano anche alle nuove correnti straniere, a Baudelaire soprattutto, ed assumono, per primi, atteggiamenti pratici di impronta goffamente decadente. Perché, per mancanza di maturità, tutti i predannunziani si limitano a volere il nuovo, a fiutare, senza capirli, gli stranieri, e, in sostanza, a ribellarsi alla tradizione, equivocando contenutisticamente sul decoroso classico e sulla libertà moderna. E non hanno quindi che negativamente un senso rivoluzionario, sì che ricadono di continuo nei più ingenui romanticismi e negli schemi tradizionali malamente stravolti. In tutti è chiaro il dissidio irrisolto fra i residui del passato e l'aspirazione al nuovo, e in tutti si sente, man mano che ci si avvicina a D'Annunzio, un progressivo accentuarsi di tono decadente, un concretarsi teorico e pratico del bisogno musicale come degli atteggiamenti, delle situazioni più propriamente decadenti. Per quanto anche in altre nazioni si fosse formata già una civiltà poetica decadente, torniamo ad insistere sul carattere europeo del decadentismo e d'altronde sulla centralità della Francia in questo movimento di gusto.

Esistono nella storia di ogni nazione due tradizioni: una tradizione largamente spirituale, formata nel vivo delle varie esperienze di civiltà e perciò divenuta naturale, nucleare, non aristocratica; e una tradizione letteraria che contribuisce a formare la prima e che da essa trae origine, ma più esemplare, più aulica, più distaccata dal flusso continuo della vita nazionale. La prima non è mancata in Italia dopo il romanticismo e vi continua tuttora, viva e chiara in ogni opera di scrittore che approfondisca le proprie qualità naturali, che veda netto nel paesaggio essenziale delle proprie visioni. La seconda è, per suo carattere, meno duratura, non radicata in ogni punto della spiritualità nazionale, ma fortemente influenzante ogni nuova espressione letteraria.
Nessuna nazione ha avuto una tradizione letteraria così lunga, costante, principale come quella italiana, formatasi con il Petrarca, il più grande letterato della nostra poesia, sopra la preparazione del linguaggio convenzionale del dolce stile novo, perpetuatasi nel petrarchismo e nei modi petrarchisti dei nostri poeti fino al Leopardi. Nella poesia del quale la maniera petrarchesca è rilevabile non solo nelle poesie giovanili, ma anche nella poesia degli ultimi grandi canti.
Questo persistere vitale di una tradizione letteraria spiega il carattere particolare del nostro romanticismo, che, malgrado le sue innegabili affinità con gli altri romanticismi, si mantiene il meno europeo e il meno rivoluzionario di tutti. Imperniato sul forte rilievo della personalità, che lo accomuna alla essenza più intima del romanticismo, e nutrito di molti tra gli utili miti romantici (la forte esigenza di originalità religiosa a base dell'arte, l'aspirazione alla felicità, il carattere di storia sacra, la ribellione al moralmente estrinseco), manca, pur nella sua aspirazione all'assoluto, di certi lati più spinti, più nuovi del romanticismo nordico e francese; manca del senso dell'ironia e del giuoco, del forte animismo della natura e soprattutto diquella vena mistica che spiega radicalmente l'intima parentela del romanticismo col decadentismo.
Mancano alla nostra letteratura romantica sensibilità del tipo di quella di un Novalis, di un Keats e magari di uno Chateaubriand. Manca l'acquisizione teorica di un nuovo misticismo (forse se ne potrà vedere qualche accenno nel Tommaseo) e quindi lo sviluppo pratico di nuove ricerche formali, la trasformazione in arte di affinamenti sensuali. Da noi la tradizione letteraria era così compatta da adeguare a se stessa il nuovo spirito romantico e da mantenerlo in quella misura costruttiva di stampo cattolico (la parola va presa in senso naturalmente metaforico) che ci rappresentiamo al solo ricordare l'arte di un Foscolo, di un Leopardi, di un Manzoni. Foscolo, Leopardi, Manzoni, romanticissimi per gli ideali che animano le loro opere e per l'intensità con cui essi li propugnano, non hanno certi abissi intimi di analisi, certe sensibilità esasperate che troviamo negli altri romantici stranieri.