da Preromanticismo italiano, "Introduzione" (1947)

Una vigorosa sistemazione storica della linea di sensibilità nuova e di nuova critica e poesia, che nel denso e complesso secondo Settecento italiano, emerge dal sensismo illuministico in forme preromantiche per intrecciarsi anche con l'affiorare di elementi neoclassici. Mentre così viene portata nuova luce sulla consistenza letteraria di molte personalità maggiori e minori dell'epoca (Parini, Varano, Bettinelli, i fratelli Verri, Baretti, Cesarotti, Bertola, Pindemonte, Alfieri) nel libro si svolge, come in un originale racconto critico, la trama variegata di sentimenti, costumi, prospettive ideologiche e antropologiche, senso della natura e del paesaggio, e culmina nella grande e tragica personalità intellettuale e poetica dell'Alfieri, preparando così la stessa comprensione di Foscolo e di Leopardi.

Uno studio di storia letteraria che abbia l'esperienza della provvisorietà e dell'utilità degli schemi (ma del resto chi potrebbe vantarsi di adeguare la libertà di una concreta vita spirituale?) e che sappia l'importanza di una valutazione non miracolistica della poesia, tende a cogliere nella poetica di un periodo il complesso vitale di intenzioni, di aspirazioni culturali, che lega l'espressione poetica al mondo spirituale senza cui essa non sarebbe nata: e lo lega non casualmente, ma proprio riducendolo tutto in termini di discussione letteraria, in dimensioni inevitabilmente di "poetica", che è sempre il tramite rigoroso fra indiscriminata esperienza e poesia.
Lavoro storico che non ha nulla di esteriormente deterministico perché parte sempre dalle personalità che della storia sono i soggetti, ma che non rimangono monadisticamente rinchiuse e incomunicabili quando, pur nella massima possibilità rivoluzionaria, interpretano e realizzano le esigenze più profonde di un tempo, reagiscono ad una cultura, discutono e risolvono, ponendone nuovi, dei problemi di idee e di sensibilità vedendoli sempre in una Koiné letteraria da cui muovono per il loro particolare senso del valore. Sì che un Rimbaud nella sua apparenza di "caso" non era che il più contemporaneo al tempo dei segreti fermenti di una poetica del subconscio cui già in diversa maniera tendevano Blake e Novalis.
Tali studi di storia della poetica si rivelano tanto più incisivi per quei periodi in cui matura una crisi letteraria, nel passaggio fra due culture letterarie, dove ai vecchi schemi di origine romantica e all'indistinzione cronistica meglio si oppongono linee corrispondenti a precise volontà in campo artistico: il che non vuol dire far la storia dello stile o dei semplici mezzi espressivi.
Uno di questi periodi della nostra storia letteraria è quello del secondo Settecento, pieno di ricca complessità, in cui reazioni diverse si complicano, tendono ad equilibrio e ne escono in una storia di ardimenti a metà, di rivoluzioni facili e frivole e insieme di squarci improvvisi nel tessuto più appariscente, di accomodamenti verso una sistemazione coerente sulla base di una costante tradizionale di buon senso e di moderazione. Il nome di preromanticismo (che in Germania combatte con Frühromantik e in Italia con il crociano protoromanticismo) designa utilmente ai nostri scopi un periodo che ha la sua tipica atmosfera, ma soprattutto vive come avvio ad una civiltà letteraria più organica, come svolgimento e abbandono di una poetica nella sua piena maturità. Periodo in cui provvisorie sintesi si realizzano su residui di una cultura consumata e su spunti di una nuova sensibilità, su fermenti ancora torbidi, ma capaci di incidere sul linguaggio tradizionale, di sommuoverlo entro i suoi chiari limiti aulici. E mentre un più caratteristico tono di sensibilità languida, smorzata, autunnale distingue un momento di costume letterario dal quasi contemporaneo svolgersi del gusto neoclassico, in realtà l'aspirazione alla perfezione del secondo e l'ansia di sensazioni indefinite e infinite del primo si fondono in un deciso distacco dalla sintesi arcadico-illuministica, dalla placida sensibilità di una poetica a base razionalistica: sicché il nome di preromanticismo meglio si addice a tutto il periodo del secondo Settecento (in cui tra l'altro da noi il neoclassicismo non è ancora pienamente sviluppato), a quel fascio nervosissimo di problemi, di esigenze assai confuse in cui elementi spesso contrastanti collaborano (remore reazionarie che si confondono con l'esigenza del concreto, dell'individualizzato, del tradizionale) ad una nuova cultura letteraria. Il primato è indubbiamente della sensibilità e sotto il suo segno si svolgono le nuove intuizioni, ma sarebbe un errore limitare degli studi sul preromanticismo alla auscultazione dell'"anima sensibile" a cui ci ha abituato soprattutto la critica francese dei vari Monglond o Trahard, dimenticando come il sentimentalismo settecentesco specie in Italia si avvia a vigoroso senso del concreto ed a coscienza del dramma della situazione umana, della storia umana, con la presenza più o meno segreta delle grandi intuizioni del Vico.
Certo uno studio più attento di questo periodo nei suoi motivi di sensibilità quali si vengono formando in un linguaggio poetico che ne risente l'urgenza e si sforza di accettarli (anche dai testi stranieri) senza spezzarsi, integra e corregge l'eccessiva attenzione prestata tradizionalmente da noi al più generico e desanctisiano rinnovamento come prerisorgimento soprattutto civile e nazionale, e dà un senso a quelle presenze di scrittori, di traduttori che ogni testo scolastico riporta dalle vecchie indagini, dai paralleli della scuola dello Zumbini o dello Zanella, dai primi tentativi di "letteratura comparata", senza passare a ricercare il loro valore di testimonianza nel campo concreto della lingua poetica, del gusto, della sensibilità, ed unitariamente nella storia della poetica, in un momento in cui, prima della più decisiva crisi del seconto Ottocento, l'aulica tradizione italiana subisce un urto potente sui suoi tipici baluardi di canto metastasiano e di decoro pariniano.
Naturalmente nessuna pretesa di voler "spiegare" la poesia di un Foscolo o di un Leopardi con uno studio del preromanticismo, ma per quello che riguarda la poetica di quei grandi romantici neoclassici è legittimo pienamente chiedersi se tra la poetica di un Parini e la loro (al di là dei legami che a quella li stringe per il côté classicistico) non si possa trovare una trama letteraria in cui si avvertono atteggiamenti, cadenze che colmano quel divario di impostazione generale. Si leggano, ad esempio, i primi versi del Giorno

  (Sorge il mattino in compagnia dell'alba
  dinanzi al sol, che di poi grande appare
  su l'estremo orizzonte a render lieti
  gli animali e le piante e i campi e l'onde. 
  Allora il buon villan sorge dal caro
  letto cui la fedel moglie e i minori
  suoi figlioletti intiepidir la notte; 
  poi sul dorso recando i sacri arnesi
  che prima ritrovò Cerere e Pale, 
  move seguendo i lenti bovi, e scuote
  lungo il picciol sentier da i curvi rami
  fresca rugiada che di gemme al paro
  la nascente del sol luce rifrange.) 


e si avrà come uno spaccato di quella poetica: ecco il suono uguale, confermato dall'incontro di parole precise, conclusive per la loro forza di definizione e di eleganza, dall'aggettivazione sempre operante, collaborante a precisare sensazioni le più oggettive possibili. E nel paesaggio una decorazione meticolosa, lineare, con poco colore, senza notazioni suggestive e sentimentali, concentrata sul particolare prezioso e quasi miniaturistico.
Da questa poetica a quella di un Foscolo, di un Leopardi non c'è solo il divario dell'accento personale, ma anche un divario di tempo poetico, di cultura letteraria, per cui, malgrado l'ammirazione e la presenza del Parini a quei due grandi poeti, il tono della loro poesia è così nuovo e quasi al di là di una avvenuta rivoluzione. Si rompa una pagina dell'Ortis: "Andavo dianzi perdendomi per le campagne, inferraiuolato sino agli occhi, considerando lo squallore della terra tutta sepolta sotto le nevi, senza erba né fronda che mi attestasse le sue passate dovizie. Né poteano gli occhi miei lungamente lissarsi su le spalle de' monti, il vertice de' quali era immerso in una negra nube di gelida nebbia che piombava ad accrescere il lutto dell'aere freddo ed ottenebrato. E parevami vedere quelle nevi disciogliersi e precipitare a torrenti che innondavano il piano, strascinandosi impetuosamente piante, armenti, capanne e sterminando in un giorno le fatiche di tanti anni e le speranze di tante famiglie. Trapelava di quando in quando un raggio di sole, il quale quantunque restasse poi soverchiato dalla caligine, lasciava pur di vedere che sua mercè soltanto il mondo non era dominato da una perpetua notte profonda. Ed io rivolgendomi a quella parte di cielo che albeggiando manteneva ancor le tracce del suo splendore: O Sole! diss'io, tutto cangia quaggiù! E verrà giorno che Dio ritirerà il suo sguardo da te, e tu pure sarai trasformato né più allora le nubi corteggeranno i tuoi raggi cadenti, né più l'alba inghirlandata di celesti rose verrà cinta di un tuo raggio su l'oriente ad annunziar che tu sorgi" (18 gennaio). Senza istituire un minuto esame stilistico, quale diversa impostazione nel giovane Foscolo che pur vedeva nel Parini un maestro di vita e di arte! Basti osservare come il paesaggio tempestoso e sconvolto sia adoperato non descrittivisticamente, ma per un urto sentimentale, per la creazione di un tono tetro a cui il movimento di questa prosa si adatta con la sua abbondanza che non è più l'enfasi barocca sopravvissuta nel Settecento per particolari effetti, con il suo procedere a masse preordinate in cui i particolari, tanto amorosamente rilevati dal Parini, hanno importanza di rafforzamento di un'onda colorita a grandi chiazze dai contorni sfumati, senza un disegno secco ed evidente su di un campo di luce uguale e funzionale al disegno stesso.
Nuove parole godute per il loro suono greve e per il cupo pittoresco cumulo di verbi per rendere un movimento numeroso e turgido: mezzi di una poetica che tende all'impeto, al movimento sentimentale, non più alla chiara eleganza settecentesca, a quel disegno minuto e preciso. Più al sublime, che al bello, per adoperare una terminologia dell'epoca.
Quelle invocazioni appassionate e dolenti che accomunano all'ansia dell'uomo nuovi miti di una natura che non è più sfondo decoroso e sensuale, e che ritornano con una forza distintiva che le fa "leopardiane" nell'inizio del Canto del Pastore o in altri Canti:

  Che fai tu luna in ciel? Dimmi, che fai
  silenziosa luna? 


Come nell'Ortis l'idillio campestre che si alterna ai motivi dell'orrore cosmico e della disperazione umana è ben lontano dall'edonismo arcadico, tutto teso com'è a un senso di fedeltà insidiata e nostalgica che si traduce in colore leggermente appannato, in luminosità fremente ed ansiosa. E se per il Foscolo si può dire che l'Ortis è poi superato nella poetica dei Sepolcri e delle Grazie (che però da quella esperienza essenziale non potrebbero in alcun modo prescindere), anche l'idillio leopardiano ha dietro di sé una somma di esperienze preromantiche che ammettono la sua intonazione ben diversamente da quanto farebbe una semplice autorizzazione tassesco-arcadica.
Si legga del Cesarotti questa paginetta sul bello morale ("La mescolanza del bello morale col sensibile rende questo più interessante. Un boschetto di alberi ben disposti è bello per sé; ma se questo è di cipressi funebri ci attrae di più per la dolce melanconia che sveglia in noi l'idea della caducità umana. La sensazione divien più viva e profonda, se in mezzo a un circondario di cipressi v'è una tomba o una memoria di un uomo celebrato o caro... Un mare in tempesta presenta l'aspetto d'un nulla terribile ma esso divien patetico se veggiamo da lungi un legno in pericolo di naufragare... Una campagna solitaria con una capanna e una greggia condotta da un pastorello inteso a suonar la zampogna, divien deliziosa, perché sveglia l'idea della pace e della innocenza") e i "temi" del preromanticismo si presentano nella loro autonoma vitalità e nel loro pretesto e suggerimento a ben altri idilli e a ben altre meditazioni poetiche. Si legga qualche periodo delle Prose campestri del Pindemonte ("Ah sì, viene un tempo nel quale più che il sentir nuovi affetti, giova contentarsi della rimembranza di quelli che abbiam sentito. Ragionamenti, letture, espansioni di cuore, rimproveri dolci, innocenti scherzi, piaceri dell'anima, momenti felici e rapidi, no, io non v'ho interamente perduto") - e si metta vicino magari a qualche pagina del Viaggio sul Reno del Bertola - e si sente il piano letterario, di esperienza di poetica su cui si muove certa prosa ottocentesca. Si legga una declamazione sull'orrido del Gargallo

  (Un lungo ululo d'upupa e di gufi, 
  e belve urlar, che il raggio odian diurno, 
  e Borea, che scrosciar fa la boscaglia, 
  e un volger di fiumi taciturno), 


e non appare sconnessa e letterariamente casuale la presenza più moderata dei testi romantici del primo Ottocento. Come le dichiarazioni in sede di poetica (perché è questo che a noi interessa) di un Bettinelli, di un A. Verri, di un Baretti storicizzano ampiamente la continuità e la novità, attraverso il nuovo bagno di europeismo, di un Berchet, alla stessa maniera che la potente rivoluzione poetica dell'Alfieri è presente alla sintesi dei grandi romantici neoclassici a cui portò essenziali suggestioni di linguaggio e di cadenza la versione cesarottiana dell'Ossian:

  Ma dimmi, o bella luce, ove t'ascondi, 
  lasciando il corso tuo, quando svanisce
  la tua candida faccia? Hai tu, com'io
  l'ampie tue sale? O ad abitar ten vai
  nell'ombra del dolor? Cadder dal cielo
  le tue sorelle? O più non son coloro
  che nella notte s'allegraron teco? 
  Sì, sì, luce leggiadra, essi son spenti
  e tu spesso per piangerli t'ascondi. 
  Ma verrà notte ancor che tu, tu stessa
  cadrai per sempre, e lascerai nel cielo
  il tuo azzurro sentier... 


Così più di una ricerca su lontani precursori (le ricerche del Quigley e del Robertson sui precedenti italiani del Bodmer) di teorie estetiche romantiche, mi è sembrato importante richiamare l'attenzione sulla viva esperienza di letterati e poeti legati in una comunanza di problemi e di tempo in quegli anni ricchissimi di curiosità europeistica, in cui stimoli esterni di diversa direzione (per intendersi, Pope e Rousseau) coincidono con il caratteristico raccorciamento dello sviluppo italiano nel quale elementi illuministici maturano accanto a potenti fermenti preromantici elidendosi e complicandosi in un impasto storico di grande interesse e tale da spiegare la particolare natura dello stesso romanticismo italiano nelle sue direzioni fondamentali di neoclassicismo romantico (Foscolo-Leopardi) e di romanticismo 1816.
E fuori del chiuso ambito (naturalmente chiuso, ma concreto) della nostra storia letteraria, uno studio che si propone di saggiare la poetica romantica in formazione, i vari tentativi di compromesso e di rivoluzione, di sintesi e di rottura entro la nostra tradizione, contribuisce ad arricchire quella larga e multiforme indagine europea "entre classicisme et romantisme", aiutando ad una precisazione del problema preromantico fuori del vago sensibilismo o del contenutistico studio di costume letterario alla Van Tieghem e alla Baldensperger, nella sua natura spirituale, ma insieme rigorosamente di poetica, una volta che ci si sia intesi su di una storia letteraria in cui non i poeti divengano documenti di un'epoca, ma i vari aspetti dell'epoca, le sue aspirazioni etiche, religiose vengano portati coerentemente nel commutatore della poetica. Se si vuole, ripeto, fare storia letteraria e non panorama di civiltà.
Così a voler intendere la sintesi di un Pindemonte, l'urto estremistico di un Viale, la fortunata audacia del Cesarotti, gioverà viceversa aver presente il più largo significato del preromanticismo e la sua complessità europea, la sua natura di novità che determina le reazioni e gli entusiasmi dei letterati italiani di fronte ai nuovi testi e alle loro traduzioni.
E proprio a questo scopo è essenziale indicare come nella destinazione singolarmente poetica dei motivi preromantici (bello morale, sublime, ma culminante in espressione d'arte) la forza rivoluzionaria sia costituita da un primo impulso non letterario, da un motivo vitale, da un malessere, da un'ansia teoricamente ingiustificata nel pieno della civiltà settecentesca animata da un sostanziale senso di benessere (anche dove prevalgono le accuse di Candide, anche dove, secondo il bellissimo brano di Goethe nella Dichtung und Wahrheit, l'ottimismo illuministico sembrava trovare una amara e inattesa sconfessione nel terremoto di Lisbona), di virtù attiva e compensata edonisticamente.
L'insoddisfazione dei metodi minuziosi della ragione avviava un'elegia (il termine più adatto all'intonazione preromantica) sensibile e dolente che solo più tardi il romanticismo organizzava come Streben verso l'assoluto e teorizzava nel grande idealismo tedesco, ma che in quell'aria di tramonto e di alba si svolgeva in una religiosità vaga, ora volta allo sfogo dell'orrido e del macabro ora rifugiata in un idillio elegiaco il cui termine di colloquio è la natura. Una natura diventata qualcosa di più che sfondo e decorazione, non più considerata a piccole sezioni miniaturistiche, ma nel suo ritmo più libero, mitizzata come prima originale espressione della vita; intima, solenne e paurosa nel suo persistere primitivo fuori di ogni possibile progresso, nel suo ripetere una parola misteriosa e solenne che elude la nostra capacità speculativa e suscita in noi l'unica misura con cui possiamo adeguarci a quel ritmo: il sentimento. Termini tradizionali della più facile riduzione Saint-Pierre Chateaubriand, ma vivi nel loro vigore più poetico e segreto già prima della formazione dei grandi miti romantici della protesta contro un potere "arcano" e neroniano (il Caino byroniano, il Gesù nell'orto di Vigny, la Ginestra leopardiana) fin dal Prometeo goethiano (1744) e prima ancora nella meditazione lirica dei preromantici inglesi e tedeschi.
In Inghilterra, in periodo illuministico, l'empirismo aveva in se stesso i germi del proprio superamento sentimentale e insieme la possibilità di una sistemazione Addison-Pope (buon senso-buon gusto), di una poetica di decoroso ragionamento in versi che portava come bersaglio polemico la vistosa eredità di Boileau:

(quelque sujet qu'on traite, ou plaisant ou sublime, que toujours le bon sens s'accorde avec la rime)

e che poteva essere ripudiata come "poesia" da Keats nella stessa misura che Leopardi adoperò per Parini.
Ma sulle grazie geometriche dell'Omero imparruccato e dei poemetti del progresso scientifico, il sensismo inglese dava dignità ai sensi interni, al sentimento e questa autorizzazione si complicava singolarmente con quella specie di sensismo spiritualistico e mistico cui, al di là del moralismo sentimentale dei romanzi di Richardson, collaboravano le insorgenti esigenze pietistiche il cui esempio più decisivo, nella sua monotona ed ossessiva tensione, le Notti di E. Young, implicava (e lo Young aveva teorizzato una violenta protesta contro la tirannia delle regole e delle tradizioni letterarie) una rottura senza riserve del cerchio ottimismo-decorazione per un ricorso integrale alla esaltazione, alla allucinazione come via ad un lirismo più che letterario, ad una espressione incurante di ordine e di chiarezza. Quella prosa di morbosa appassionatezza, quel procedere per ritorni ossessivi, per suggestione di immagini accumulate ed insistenti nella direzione notte e morte a cui il paesaggio allude continuamente con l'aiuto più tradizionale del sublime biblico miltoniano, è al centro di quella preoccupazione di eloquenza poetica che trova il testo più realizzato nella Elegia del Gray e la grandiosa figurazione poematica nello pseudo-Ossian macphersoniano, che accogliendo la nuova curiosità delle emozioni (il romanzo nero è in questo senso indice di un turbamento più profondo di una moda piacevole) costituiva il tentativo più consapevole, e quindi efficace, di concretare l'angoscia del suo tempo in una rappresentazione quasi tradizionale: personaggi, costume, paesaggio, tutti mezzi per suggerire quell'esaltazione tetra, quell'orrore senza spiegazione che provocava, nella patina di falso antico, violenze linguistiche e soluzioni letterarie, capaci di una maniera e di un gusto. Anche nella letteratura tedesca una grande poesia barocca ricca di fermenti religiosi che superano in esaltazione poetica i limiti di qualsiasi preziosismo o marinismo (Gerhardt, Spee, Hoffmanswaldau), aveva lasciato nel pieno trionfo fridericiano, della Stilisierung razionalistica, un impeto che non manca nel limpido problemismo di Lessing e la ricerca del popolare passava facilmente, come in Claudius, dalla chiarezza razionale alla intuitività del sentimento. Per cui si può tradizionalmente parlare di Gegenoffensive des Gefühls come del superamento di una parentesi eterogenea allo spirito poetico tedesco. E accanto alle fondamentali intuizioni di Hamann, Herder, sulla direttiva dello storicismo idealistico, la rivolta dello Sturm und Drang, il wertherismo, spezzando il prezioso impasto francese-tedesco del rococò, la misura decorativa verso il grandioso indefinito del genio e dell'anima melanconica, si univano all'idillio di Gessner e alla meditazione lirico-religiosa di Haller e Klopstock, le cui poesie bardite venivano poi a rinforzare l'influenza ossianesca in Europa.
Sì che fra le due letterature nordiche si operava una specie di fraterna collaborazione nella rottura della poetica illuministica e nella formazione di un animo poetico nuovo, superiore, anche se appoggiato, alle semplici discussioni teoriche, realizzato in esemplari poetici, in testi che letterature come quella francese ed italiana dovevano risentire con un di più di fascino, di meraviglia e di repulsione anche se non mancavano di precedenti in senso preromantico, specie nelle querelles sulle regole o sugli antichi e i moderni.
In Francia il reagente più notevole per una evoluzione preromantica del sensismo che là sembrava trovare la sua sistemazione più razionalistica e materialistica, priva di ogni fermento religioso di qualsiasi source (si può ricordare che il Vallery-Radot nel compilare la sua Anthologie de la poésie catholique en France, Paris 1933, non ha trovato autori per il secolo XVIII), fu l'indagine romanzesca sulle passioni che arrivò a Sade e Rétif e Choderlos de Laclos, ma che già in Manon Lescaut, prima di una chiara influenza del Richardson, portava punte nervose e tenere che resistettero al modulo di prosa rapida, eccitata intellettualmente dei romanzi illuministici di Voltaire, e si ammorbidirono e si svolsero in linea coerente fino a Saint-Pierre e a Rousseau: "le maître des âmes sensibles", lo scandalo dei Lasserre e dei Reynaud nel loro rifiuto del romanticismo come fenomeno anglogermanico, antifrancese, introdotto abusivamente da transfughi della luminosa tradizione classicista. Uno di questi contrabbandieri sarebbe quel magnifico traduttore della seconda metà del secolo che le storie letterarie francesi calcolano troppo poco e che nella sua opera di mediazione intelligente e raflinata tradusse Young, Macpherson (e Shakespeare) e dotato di una facilità sorvegliata e delle possibilità estreme della poetica sensista, creò una prosa vivace e languida insieme che rimase esempio decisivo di prosa preromantica francese, di ritmo preromantico anche per molti letterati italiani.
Tourneur operò una mediazione più facile in quanto egli non tentò neppure di accordare i nuovi testi poetici con una tradizione di alta poesia che in quel tempo era decaduta in un classicismo arido ed in un estenuato giuoco rococò, e tradusse prosa poetica (Macpherson e Young) in una prosa poetica già svegliata nei romanzieri da una sottile indagine della sensibilità, dei sentimenti: "Partout où mes vers rediront ta mort, tu recevras les soupirs des coeurs sensibles: le jeune homme dans la fogue de l'âge et des plaisirs suspendra la joie pour s'attendrir sur ton sort: il ira mélancolique et pensif, rêver à toi au milieu des tombeaux... ". In un certo smorzamento più elegante dell'originale, Tourneur mira a tendere la capacità poetica della prosa romanzesca francese al suo massimo, senza rivoluzionarla e senza ricorrere alla lirica in versi.
Con Rousseau e Diderot (le cui intuizioni potenti circa la natura istintiva della poesia, la sua condizione inevitabilmente geniale e la sua qualità di "enorme et barbare et sauvage" trovano una maturità contemporanea che da noi mancò ai preannunci di Vico) l'opera di Tourneur stimola gli sparsi elementi di discussione e di sensibilità "larmoyante" ad una poetica che sempre meglio è nutrita di una cultura letteraria veramente europea e non regolistica come era in generale rimasta quella illuministica eccessivamente appoggiata sul classicismo boileauiano.
La tradizione italiana non aveva nel primo Settecento - a parte il Vico - valide autorizzazioni in senso preromantico e la sintesi poetica pariniana aveva una forza prepotente di esclusiva che non trovava aperte ragioni di protesta, realizzando un'opera che rispondeva anche all'incipiente tendenza neoclassica, come inverava e superava la tenerezza arcadica in sensistica sfumatura.
È perciò da quella poetica tipicamente settecentesca che il preromanticismo italiano si distingue e si distacca con un delicato intreccio di dichiarazioni critiche, di attuazioni poetiche a cui resta essenziale la presenza del preromanticismo europeo nella mediazione complessa o contraddittoria delle traduzioni. Mentre una discussione ideale e trattenuta da esplosioni tardive di illuminismo, da ritorni di posizioni più antiquate si avvia fra i letterati più aperti ed europei in una crisi di cultura letteraria in cui è difficile distinguere nettamente, se non nella sua collaborazione alla più generale poetica, la linea nuova; le traduzioni dei testi preromantici inglesi e tedeschi, spesso nella mediazione francese, vengono a sollecitare e a suscitare l'evoluzione del sensismo, la lotta antiregolistica, l'amore del concreto, la personalizzazione del sublime nel genio, le nuove posizioni insomma da cui ha origine il romanticismo, confermando qualche isolata espressione indigena (Varano), permettendo esempi di una nuova maniera poetica. Donde una più larga e feconda crisi entro il linguaggio poetico inadatto ad accogliere quelle immagini, quella lirica cresciuta su di una oratoria tetra e desolata, quei moti dolenti di un languore non procedente da intenerita sensualità, ma da torbidi sviluppi sentimentali. Senza una libertà di prosa come quella del romanzo francese, le traduzioni o rimanevano letterali e sconcertanti o richiedevano accomodamenti e riduzioni: ma pur in questa opera contrastata di accettazioni timide e di riduzioni, di equivoci entusiasmi, i letterati italiani 1770 risentivano la poetica dei preromantici inglesi e tedeschi e nella imitazione (che prendeva carattere di moda coesistente con altre mode e maniere) di "notti", "tombe", "canti barditi", "idilli malinconici", una nuova aura poetica si diffondeva, nuovi canoni e nuovi modelli si precisavano all'attenzione generale: fra i quali l'ammiratissimo Ossian nella mediazione del Cesarotti. E questa, che è la massima esperienza preromantica prima dell'Alfieri, supera ogni altro tentativo di mediazione e rappresenta da sola, con la sua efficacia di formato poema, con la coscienza critica e linguistica del Cesarotti, il più concreto testo preromantico e il più ricco spunto sia come mondo di suggestioni fantastiche, sia proprio come realizzazione di immagini in versi, alla poetica di tanti romantici.
Dopo la versione cesarottiana e l'era delle traduzioni, la diffusa moda preromantica diventa periferico esercizio o fortunato equilibrio, come soprattutto nel Pindemonte (che riprospetta in un impasto neoclassico - preromantico la laboriosa sintesi di motivi storicamente diversi), mentre una sorta di estremismo preromantico sembra voler spezzare risolutamente la decorosa forma tradizionale e resta come una mano tesa verso il romanticismo dei Tedaldi Fores e dei Guerrazzi.
Con il romanticismo 1816, dopo la decisiva irruzione del titanismo alfieriano, e la definitiva consumazione di ogni Arcadia preromantica, e con il grande romanticismo neoclassico di Foscolo e Leopardi, nuove esperienze coerenti, e chiarite anche nei loro contatti europei, sostituiscono gli esili tentativi del secondo Settecento; ma non c'è poetica ottocentesca che nel suo distacco dal limite pariniano non abbia fatto i suoi conti con i testi della crisi preromantica.
I capitoli che seguono tendono perciò a dare un contributo per una storia del romanticismo italiano e a costituire insieme un approfondimento storico di un'epoca di crisi della nostra letteratura nelle sue linee di gusto, nella sua concreta attività poetica.