Maurizio Mori, che aveva partecipato alla giornata perugina del 6 novembre 2007 con un suo intervento di testimone e amico di Binni fin dagli anni della cospirazione antifascista, ha pubblicato nel numero di febbraio 2008 di “Micropolis”, mensile umbro distribuito dal “Manifesto”, una recensione alla nuova edizione della Tramontana a Porta Sole. Un contributo davvero importante sulla “poetica politica” di Binni, un’affettuosa e disincantata rilettura delle generose speranze di un tempo per molti aspetti naufragato.

Maurizio Mori, Ha vinto Marinetti. Amore per Perugia e passione politica negli scritti di Walter Binni (“Micropolis”, febbraio 2008)

Duro e intransigente, come il clima della sua città, Perugia, “sorpreso, irato e mai rassegnato”, ha scritto di sé Walter Binni. Questo Binni che più ci piace ricordare, serio però mai serioso, lo ritroviamo a tutto tondo nel volume, una ristampa ampliata, pubblicato per il decennale della scomparsa, La tramontana a Porta Sole. Scritti perugini ed umbri, Perugia, Morlacchi Editore, 2007, giocato su Perugia - “la mia Perugia assai lontana dalla grazia un po’ dolciastra del Perugino” - e su due cardini della sua vita, “L’attività letteraria, la passione politica”. Parlare dell’attività letteraria qui non ci compete, è piuttosto sul suo amore per Perugia e sulle sue scelte e coerenze politiche che il libro ci stimola.

Una cultura e una politica socialiste
Ricorda Binni che tra il ’36 e l’inizio del ’37 si venne formando, come contributo originale alla storia dell’antifascismo, quel movimento liberalsocialista “la cui prima elaborazione e la cui prima costruzione avvennero proprio in Perugia ad opera di Capitini e degli amici intorno a lui saldamente riuniti”, troppo facilmente inteso - allora e oggi - come “un semplice temperamento moderato delle nozioni classiche di liberalismo e di socialismo […]. Come dirà poi Capitini, la formula base del ‘liberalsocialismo’, nella versione sua e di altri, voleva essere massima libertà sul piano giuridico e culturale e massimo socialismo sul piano economico.” Del resto Binni, che di quel movimento e in quel movimento fu parte attiva, quando parla di “maestri” ricorda Leopardi (“fin dall’adolescenza fu il poeta della mia vita, il maestro supremo della mia stessa prospettiva umana, morale, intellettuale, civile”), ma aggiunge: “Con l’ovvia aggregazione di altri maestri, da De Sanctis a Marx, a Trotzky, alla Luxemburg, a Gramsci, a Sartre, in direzione più particolarmente critica e sociale-politica, ma tutti riportati alla centrale lezione leopardiana”.
Dopo la liberazione di Perugia si trova organizzatore di Partito, dirigente dell’allora Psiup, impegnato nella pratica di una speranza democratica e socialista: in quei tempi difficili ed esaltanti partecipa alla ricostruzione di un Partito che vorrebbe sgravato da un certo semplicismo; è un Partito – elettoralmente il primo a Perugia – percorso da tante vene fresche, eretiche diremmo oggi, di cui Walter è il leader a Perugia e in Umbria, ma è un Partito immobilizzato, qui e a Roma, da aree che definire socialdemocratiche sarebbe un tenero eufemismo, e aree che fanno di uno stalinismo subalterno la ragion d’essere. Binni si batte allora per quella che sarà la sua costante bandiera, per “un partito rivoluzionario e democratico”, come andrà ripetendo nelle piazze dell’Umbria nella campagna elettorale del 1946 che lo porterà a sedere sui banchi della Costituente. Scrivendo di quel Psiup a Perugia ne ribadirà “la sua natura di classe […] basato sulla società divisa in classi e sulla socializzazione dei mezzi di produzione”.
All’Assemblea Costituente il giovane deputato interverrà nel dibattito per la difesa della scuola pubblica con un memorabile intervento – ripubblicato da “micropolis” in occasione della sua morte – che, in questi tempi d’oggi, così oscuri, ambigui e compromissori, conserva ancora intatto il suo valore ideale e politico.
Intanto si era consumata la scissione del Psiup, cui Binni non partecipa entrando negli anni ’50 in un coacervo di diaspore socialiste che cerca di tenere viva una “rivoluzione socialista” in rapporto a due tronconi di partito allora rispettivamente specchiati sulle due grandi potenze della guerra fredda.
I suoi studi e il ruolo di professore universitario allontanarono Binni , fisicamente, dalla sua città e dalla politica quotidianamente praticata. Ma non è chiuso il suo impegno politico; già prima del ’68 sarà attivo a Firenze a contrastare un rettore clerico-revanchista, e poi a Roma, dopo l’uccisione di un giovane studente, perugino, sarà alla testa della rivolta che porterà alle dimissioni del rettore pro-fascista. “Allontanatomi da tanto tempo dalle formazioni partitiche socialiste in cui ho militato sempre con difficoltà e contrasti, ma non dalla ‘sinistra’, vivo e soffro la contraddizione di un intellettuale assolutamente disorganico e sradicato – scriverà -, anche se ostinatamente proteso e attento ad ogni segno di cambiamento rispetto alla società in cui sono costretto a vivere”, con “la volontà persuasa di contribuire alla costruzione, pur così difficile, di una nuova società che realizzi l’esito positivo del dilemma luxemburghiano ‘socialismo o barbarie’”.

Una città, scabra ed essenziale, una città che non c’è più
“Parlo di me, che amo riconoscere nell’inverno perugino, nella tramontana perugina una prima educazione naturale […], ma parlo anche dei miei più veri concittadini che riconoscono la loro festa popolare in quel san Costanzo ‘dalla gran freddura’, quando le fanciulle del popolo…”. I suoi veri concittadini, il popolo, come la tramontana danno un senso a Perugia, sono la città: “Una civiltà concreta e costruttiva […] faticosamente difesa con atti decisivi di volontà collettiva”. E ricorda, per rimanere a tempi meno lontani, che “Perugia fu una delle rarissime città pontificie che, accolte attivamente le nuove idee democratiche, le difese nel ’99 con le armi di fronte alle bande sanfediste aretine”, la giornata sanguinosa del XX giugno 1859, “guerra di popolo” che “ne consolidò il fondo democratico, laico, popolare”, le battute antipadronali (“il padrone ce l’hanno i cani”) dei popolani, la loro resistenza lunga all’affermarsi della dittatura fascista, la loro “serietà morale e civile quando […] sullo stimolo della guerra antipopolare in Spagna riprendevano una vita politica attiva”, la “folla di popolani, uomini e donne, che invano richiedevano armi davanti alla caserma di S. Agostino” dopo l’8 settembre. Questo popolo si innesca con la città, nell’immagine e nei ricordi di Binni: “La vecchia città non era dunque solo una immagine di bellezza inanimata e isolata”, “una città scabra ed essenziale, antiretorica ed intensa più che edonisticamente ‘bella’”, una città che “rifiuta nettamente ogni degustazione frammentaria delle sue ‘bellezze’ […], “meglio e più la si conosce percorrendola”, non “la città museo che il futurista accademico (fascista, N.d.R.) Marinetti invitava a recintare e abbandonare per ricreare vita giù nella valle del Tevere. Era ed è una forza e bellezza che chiede, per essere intesa anche come ‘bellezza’, una attiva disposizione e prosecuzione di tensione creativa, di impegni morali e civili”.
Caro Walter, quella città non c’è più. Ha vinto Marinetti, e non solo nella valle del Tevere. E pare proprio che sia in fortissimo ribasso quella “attiva disposizione e prosecuzione di tensione creativa, di impegni morali e civili”.