Antonio Resta, Walter Binni, Leopardi. Il Ponte, 2014 («l’immaginazione», n.284, novembre-dicembre 2014)
È significativo che la pubblicazione dell’opera
omnia di Binni (Perugia 1913 – Roma
1997), prevista in venti volumi, sia avviata dagli
studi su Leopardi. Leopardi è infatti un poeta
fondamentale nella sua vicenda umana e intellettuale;
è, anzi, “il” poeta, sul quale egli è
tornato a interrogarsi per tutta la vita, dalla tesina
L’ultimo periodo della lirica leopardiana,
preparata nel 1934 con Attilio Momigliano alla
Scuola Normale di Pisa, all’estrema lezione,
sulla Ginestra, tenuta nel 1993, in occasione
dei suoi ottanta anni. Disposti, con scelta felice,
in ordine cronologico, i saggi permettono di
seguire il percorso critico, nelle sue riprese e
approfondimenti. Quella tesina universitaria,
che sfocerà in forma più distesa e matura nel
volume del 1947, La nuova poetica leopardiana,
si opponeva all’imperante proposta crociana
di un Leopardi esclusivamente “idillico”, sopraffatto
per il resto da preoccupazioni estranee
alla poesia. Giacomo Leopardi poeta dell’idillio
(1941) si intitola, ad esempio, il libro di
un crociano ortodosso come Fernando Figurelli,
sul quale Binni pubblica una tempestiva limitativa
recensione, che naturalmente è qui riprodotta.
Al tempo stesso Binni reagisce all’immagine,
anch’essa diffusa, del poeta e dello
scrittore “puro”, caro ai rondisti e agli ermetici,
che trova il maggiore propugnatore in Giuseppe
De Robertis. Alle loro degustazioni puramente
stilistiche è opposta e sottolineata la
forza di un pensiero consequenziale e impervio
che nutre e permea quella scrittura. Così,
egli respinge il ritratto di un Leopardi semplice
modello di stile e insieme corregge, “da sinistra”,
il metodo di Croce, sino a inficiarne i presupposti
estetici (per il filosofo la poesia rimane
“intuizione lirica” o “intuizione pura”), rivalutando
o, almeno, mettendo in relazione con la
poesia quegli elementi culturali, ideologici e
morali che Croce condanna come “non-poesia”,
e che costituiscono nondimeno la personalità
di un autore e la sostanza stessa della
poesia. Nel valorizzare un Leopardi agonistico
e “disorganico” rispetto alla cultura del tempo,
agisce già quella nozione di “poetica” (La poetica
del decadentismo italiano è la tesi, subito
pubblicata, che Binni discute con Luigi Russo
nel 1935), che sarà affinata e teorizzata in un
volume del 1963, Poetica, critica e storia letteraria,
come “momento” in cui un complesso
apparato concettuale si tramuta in poesia.
Grazie a quella nozione Binni rileva il nuovo
accento poetico che, con risultati di vario valore
(la “prova infelice”, ad esempio, che è Consalvo),
acquista l’ultimo Leopardi, dal “ciclo di
Aspasia” ai “canti napoletani”, suggellati da
quel poema “sinfonico” che è la Ginestra.
La nuova poetica leopardiana apriva una
nuova fase della critica, insieme con il saggio
di Cesare Luporini, Leopardi progressivo, apparso
in quello stesso 1947, sebbene con una
diversa angolatura, come Binni ha più volte ricordato,
fin dalla recensione (anche questa
qui raccolta) che lì lì approntò. Si dava comunque
rilievo al ruolo positivo della “filosofia”, degli
intenti satirici e polemici (si pensi a quel “libro
terribile” che sono i Paralipomeni della Batracomiomachia),
in una riconsiderazione che
sarebbe stata ripresa da critici di rango, da Sebastiano
Timpanaro a Luigi Blasucci. In quel libro
sussisteva tuttavia una sfasatura, proprio
perché, di Leopardi, rimaneva sullo sfondo la
precedente attività. A sanare questo iato, a riequilibrare
le parti, provvedono le lezioni universitarie
a Roma dal 1964 al 1967, il cui succo
confluirà nell’introduzione a Tutte le opere di
Leopardi (1969), e poi nel volume La protesta
di Leopardi (1973). In quelle lezioni trovava
posto la lettura delle Canzoni e degli Idilli> e in
sieme dello Zibaldone e delle Operette morali,
così importanti nello svolgimento successivo
del poeta. È ricostruita la formazione del Leopardi,
la cui opera è seguita nel suo farsi, attraverso
un commento puntuale dei testi, in cui
ancora una volta pensiero e poesia non sono
visti in contrasto, ma in un rapporto osmotico,
in linea con un metodo che consenta di cogliere
l’arduo “significato” dell’opera leopardiana
nelle diverse fasi. E in questa prospettiva, lontana
da soluzioni sia sociologiche che formalistiche,
Binni è venuto rileggendo Leopardi fino
agli ultimi anni (il breve intervento Il sorriso di
Eleandro è del 1997), arricchendolo di nuovi
appunti e precisazioni. Si tratta, come si vede,
di una lunga fedeltà (più di mezzo secolo), che
illumina e definisce anche la fisionomia del critico,
sul piano ideologico e politico, se da un
lato egli si collega al pessimismo materialistico
del poeta e dall’altro aggancia il messaggio
della Ginestra, e cioè l’utopia, che vi balena, di
un’umanità liberata.