WALTER BINNI: I LUOGHI E LA STORIA DI UN PENSATORE

La recente donazione dell’archivio di Walter Binni all’Archivio di Stato di Perugia rappresenta un indubbio arricchimento per la Città, che ha ora la possibilità di consultare in loco una ingente quantità di carte e documenti dello studioso perugino. Ciò consentirà un confronto più agevole con il suo pensiero, che ha spaziato in settori non solamente letterari, e con il suo metodo. Binni è stato un pensatore rigoroso e molto attento alla formulazione del proprio pensiero di critico, di storico della letteratura, di scrittore e di politico. Di lui, già nel lontano 1937, quando il giovane studioso aveva appena ventitré anni, Sergio Solmi aveva sottolineato, a proposito di un suo lavoro sul decadentismo, “la sicurezza e l’incisività di definizioni che stupiscono, oggi che la critica inclina…a cogliere il suo oggetto per via di larghe e dubitose approssimazioni…Sicurezza…dovuta alla padronanza della materia e alla coerenza dei principi sui quali il Binni…ha costruito il suo saggio” 1 . Dunque, uno studioso attento e aperto all’innovazione.
Alcuni anni or sono, Raffaele Rossi, allora Presidente dell’Istituto per la Storia dell’Umbria Contemporanea, nella sua presentazione de “La tramontana a Porta Sole”, riferendosi ai vari scritti contenuti nell’opera, metteva in evidenza, tra l’altro, la modernità della visione politica di Walter Binni, concludendo con queste parole: «…Possano rappresentare nella città di oggi, in una realtà diversa e in una comunità più numerosa e varia, stretta fra perdita e bisogno di memoria, l’invito a tenere alti, contro ogni diserzione, i valori di democrazia e di civile progresso, che hanno illuminato la storia umana e quella della nostra città»2 . Una esortazione che deve essere fatta propria da coloro che non possono restare indifferenti di fronte all’affievolimento quotidiano che la democrazia repubblicana soffre ormai da tanti anni. Binni, dunque, ancora maestro. L’invito a riconsiderare l’idea che egli ebbe della democrazia , della politica e della sua pratica, strettamente connesse alla riflessione culturale ed etica, giunge proprio nel momento in cui la politica sembra aver rinunciato all’una e all’altra. Non è,dunque, un’operazione di nostalgico e vano ritorno al passato che spinge a riconsiderare il pensiero dell’illustre perugino, ma la necessità di far riprendere vigore e coraggio alla nostra intimidita democrazia, avviata sull’inerte sentiero del pensiero unico, che finirà di estenuarla.
L’opera di Binni è propria del critico, del letterato, dello storico; egli, quindi, non si può considerare uno scrittore politico in senso stretto, ma la radice delle sue opere è senz’altro politica, nella accezione più matura, più pregnante della parola, cioè come visione dell’uomo e del mondo in cui esso vive, come categoria universale ed imprescindibile. Se lo studio di Leopardi, che egli ha definito “il maestro supremo della mia stessa prospettiva umana, morale, intellettuale, civile” 3 , è stato determinante per la sua formazione di uomo e di pensatore, è pur vero che nel grande poeta Binni, all’atto di riscattarlo dalla “lunga mistificazione della sua poesia come poesia idillica e catartica” 4 , riversò tutto il senso della sua formazione politica, oltreché umana, consentendo a Leopardi di occupare il giusto posto a lui spettante nella storia della letteratura e nella storia tout court. E proprio su questo profondo ed ampio significato di ciò che è politico, di ciò che è etico, il pensiero e l’azione di Binni, già nel suo tempo, si diversificavano rispetto ai contenuti e alle forme della politica, come ancora oggi accade rileggendolo. Binni invita, perciò, con la sua ancor viva attualità, ad un rinnovato impegno per ricollocare l’uomo come individuo, persona e cittadino al centro di una reale attività svolta nel più genuino spirito di servizio. Impegno, allora come oggi, arduo, dato che nella nostra società da decenni domina incontrastato il fare in nome dell’efficienza indirizzata alla produzione per il consumo. Il progresso è fondato su categorie meramente materiali e si sta volgendo in regresso, come aveva avvertito tanta parte della filosofia nel XIX e XX secolo, che Binni afferma di conoscere bene e che, insieme al Leopardi della “Ginestra”, gli ha fornito il coraggio di impegnarsi “nella strenua lotta contro…la società ingiusta e a favore di un’ardua nuova condizione di società libera e fraterna” 5 .
L’uomo, per Binni, non si caratterizza come soggetto volto al consumo e, dunque, intento a procurarsi denaro per “essere nel mercato”. L’uomo, al contrario, si caratterizza come soggetto autonomo, in grado con la sua intelligenza, la sua cultura e la sua volontà di far crescere se stesso, fuori da ogni facile prospettiva, senza illusioni metastoriche, ma non per questo chiuso nell’angusto recinto della propria resa dinanzi alla realtà, anzi impegnato nella lotta quotidiana con il vigore dell’uomo persuaso – secondo l’eredità di Michelstaedter filtrata da Aldo Capitini – e insieme votato alla sua piena realizzazione sociale per non vanificare il senso compiutamente conseguito del proprio valore individuale di soggetto storico e spirituale. Il pensiero, la cultura non erano, per Binni, momenti separati dalla concretezza del fare e, quindi, della politica. Un convincimento, questo, che gli derivava dalla grande tradizione mazziniana e da quella del socialismo italiano a lui particolarmente congeniale. Questa è la prima grande lezione di Binni dalla quale è utile ripartire, in un momento in cui la politica è troppo spesso affidata alle decisioni improvvisate e all’uso della forza non solo delle armi, ma anche della legalità fraintesa. La politica, come arte generale del buon governo, ne risente e stenta a riprendere la giusta direzione, frantumata in mille particolarismi, in mille egoismi che non affrontano i problemi concretissimi che gravano su un popolo intero. Se la politica è in queste pastoie, che le impediscono di individuare con chiarezza i contenuti idonei al consolidamento di una sostanziale democrazia repubblicana a quasi settant’anni dalla sua fondazione, la riflessione etica non versa in migliori condizioni. Essa non è più tenuta nella debita considerazione e, come per la politica, anche per essa ciò dipende dall’incondizionato prevalere degli pseudo-concetti, a cui si è fatto cenno, e sui quali si sta di fatto costruendo l’uomo nuovo del XXI secolo. La situazione generale in cui si trova quantomeno l’Occidente si può infatti schematizzare così: la ricchezza serve solo a distinguere chi la possiede dal povero; i colori servono a distinguere gli uomini in bianchi, neri, rossi e gialli, dividendoli e contrapponendoli; la cittadinanza, da preciso ambito di diritti e di doveri, è divenuta strumento di discriminazione, come la nazionalità; la religione scatena odi anche mortali fra le varie fedi e i diversi integralismi; la legalità ha sostituito la giustizia, cioè la forma ha schiacciato la sostanza con buona pace del diritto in quanto ius, sopraffatto dalla lex, sempre più dura con i deboli e gli emarginati.
Walter Binni usciva dall’antifascismo, dalla guerra e dalla Resistenza, e, insieme alla sua cultura classica, ciò gli consentiva di fondare la propria concezione della politica sul convincimento che l’atto politico non poteva limitarsi al mero atto di governo, all’amministrazione pura e semplice, ma doveva includere la formazione del cittadino, della sua coscienza civile, altrimenti esso era destinato a trasformarsi in attività di pochi diretta a molti inconsapevoli. La Resistenza aveva confermato in lui l’idea dello stare insieme per sostenersi, per sentirsi comunità, per realizzare la democrazia. Perciò, tornata la pace e la libertà, Binni si adoperò con altri per far si che la politica rifondasse una società solidale ed operosa, garantita quotidianamente dalle regole della democrazia sostanziale, cioè della democrazia costruita dai cittadini con la loro partecipazione alle scelte decisionali e con il loro assiduo lavoro. Come è noto non andò proprio così, ma questo è un altro discorso. Quello che è certo, è che di fronte alle tante difficoltà incontrate dalla democrazia repubblicana i migliori tra coloro che avevano contribuito ad instaurarla non si persero d’animo e la loro dignità di uomini seguitò a sostenerli, a costo di dover sopportare ancora le stesse fatiche materiali ed intellettuali a cui si erano volontariamente sottoposti quando la libertà era loro negata.
Ma quali furono i luoghi, quali le circostanze e gli incontri che contribuirono alla formazione della cultura politica di Binni, del suo modo di pensare l’organizzazione della società, del lavoro, e le relazioni interpersonali? La sua testimonianza in merito è esplicita, non dettata dal desiderio di un’autobiografia dettagliata, quanto dalla volontà di manifestare il fortissimo legame con i luoghi nei quali era nato e cresciuto, le diverse suggestioni delle vicende occorsegli e l’ascendente delle persone in essi conosciute6 . Questo vario e complesso intreccio tra persone, eventi e natura è legato da un amore intenso e dichiarato, senza cedimenti sentimentalistici, anzi formato alla durezza dei luoghi e delle circostanze e all’intransigente livello intellettuale e morale delle sue frequentazioni. D’altra parte – come Binni stesso dice – l’intenso è la categoria “della mia esperienza vitale e della mia personale poetica” perché sorge “da un’esperienza sofferta”, “da un equilibrio” che presuppone “dinamica tensione di forze” 7 . Un amore, dunque, verso l’Umbria e Perugia, goduto e sofferto insieme. Il panorama di Porta Sole è un godimento estetico e spirituale, ma non spinge solamente al bello e all’ineffabile, ma anche alla severità che la Città assume soprattutto con l’aspetto invernale, quando la tramontana incontenibile spazza le vie e dissecca le pietre degli edifici. Allora “una forza morale e fantastica occupa l’animo imperiosamente e lo sommuove ad impegni e sogni profondi senza abbandoni e senza mollezze” 8 . Nei lunghi giorni di vento freddo e tagliente, quando la tramontana investe i veri perugini e li costringe ad una alacrità eccezionale “ mi afferrava – dice Binni ricordando la sua giovinezza – un senso di gioia quasi rabbiosa, un impeto di volontà, una tensione di tutto l’essere che in quella situazione naturale estrema intuiva il piacere dei sentimenti assoluti, degli impegni senza riserva, della parola nuda, essenziale, anti-ornamentale. Parlo di me, che amo riconoscere nell’inverno perugino, nella tramontana perugina una prima educazione naturale della mia disperata tensione alla stessa poesia come intensità e forza” 9 . Questa prima formazione naturalistica lo indurrà, come già accennato, a fare di Leopardi un poeta dai sentimenti assoluti, dagli impegni senza riserva e senza retorica, togliendolo dalle “pastorellerie” idilliche in cui, prima della sua revisione critica, si tendeva a collocarlo. Ma in essa c’è anche – come più tardi attraverso l’amicizia simbiotica con Capitini si preciserà meglio – la figura di un giovane che si va indirizzando verso la persuasione e l’anti-retorica, sul modello di Michelstaedter, senza, però, rimanere prigioniero né del pessimismo, né dell’individualismo, né del desiderio di morte del Goriziano come affermazione contro l’inautenticità, che Binni, invece, fin da giovane, si persuade di dover contrastare con l’impegno politico e sociale, facendo sua la “protesta” leopardiana, proprio perché tra la persuasione e la retorica ha scelto la prima e la responsabilità che essa comporta. Sono già i primi passi che Binni compie verso la sua formazione democratica e socialista, che lo indirizzerà di lì a poco sulla via dell’antifascismo, insieme a Capitini e a tanti altri amici perugini. Se nelle cose in se stesse non c’è un senso compiuto, la vita dell’uomo assume spessore proprio se è fatta di impegno. Il rispetto che l’uomo deve a se stesso e all’altro per il fatto di esistere come esseri razionali, induce l’uomo stesso a reagire a questa insufficienza di senso e lo proietta nella dimensione infinita della realtà. Il senso emerge nella proiezione in un infinito reale, sempre che l’uomo voglia lottare. Nell’uomo come individuo c’è l’esatta percezione di se stesso, c’è la persuasione di doverla vivere mettendosi in gioco (ciò che mancò a Michelstaedter) e quest’uomo – per Binni – non può, però, che dileguare nella solidarietà, nella lotta dei tutti per conquistare un senso infinito. Non è proprio il tu-tutti e la compresenza capitiniani, ma c’è la stessa visione profetica destinata a sconfiggere il male e la morte per riscattare la dignità umana; manca solamente il sostrato religioso, che in Capitini,invece, è presente. Si stabilisce un corpo a corpo, per così dire, tra l’uomo con la sua dignità da un lato e la realtà dall’altro, è una battaglia che si veste di poesia come intensità e forza, la stessa che si ritrova nella maniera di intendere e di fare politica di Binni. È la sua stessa concezione della poetica che glielo impone, in quanto essa riassume l’intera esperienza vissuta dall’uomo, la sua storia, secondo una volontà di integrale ricostruzione e delle personalità artistiche e della storia letteraria. Solamente così si può stabilire che cosa è poesia, andando oltre l’estetica crociana. La poesia non è tale in quanto bella in senso estetico, ma è bella quando le sue parole esprimono i valori soggettivi ed oggettivi che il poeta ha fatto suoi e con essa, dunque, esprime la sua concezione della vita, il suo tentativo di comprenderla per viverla consapevolmente. È la tensione presente nel Binni politico. Già negli anni della sua gioventù si accingeva a riconsiderare la storia, rispetto alla visione di essa come storia dello spirito, che Croce aveva insegnato agli Italiani, soprattutto a quelli che speravano nella religione della libertà. Ma per alta che fosse questa concezione, Binni, soprattutto dopo aver fatto la scelta antifascista, non si accontentava più di una storia che pone a lato l’uomo. Un persuaso non può che ricondurre l’uomo ad essere soggetto della storia: questo è il suo senso, questa la sua libertà. Nella descrizione della “personalità storico-poetica del Leopardi” 10 Binni rivede se stesso. Tracciando il profilo del Recanatese egli fa anche il suo autoritratto, l’uno e l’altro ormai frutto di lungo studio e di matura riflessione. Diviene tutt’uno con lui11 . Così come Leopardi era stato un “supremo contestatore dei sistemi storici della Restaurazione reazionaria o del moderatismo liberale-spiritualistico” 12 , Binni, fin da giovanissimo, abbracciava i principi della democrazia e del socialismo, entrava con Capitini nell’antifascismo militante in nome della libertà, nelle sue varie forme, della giustizia sociale, dell’uguaglianza e della solidarietà e seguitava per la sua intera lunga vita questa testimonianza laica e concreta, mai abbandonata neppure quando prese la decisione di uscire dalle formazioni politiche per recuperare interamente la sua autonomia di espressione e d’azione.
Questo per i luoghi della sua formazione.

Altrettanto si può dire per le circostanze che Binni ha vissuto in essi, con l’avvertenza che tra queste circostanze non sono da considerare solamente quelle del suo tempo, ma anche quelle passate, che egli sentiva intimamente legate al presente tanto da contribuire a completare il senso della sua contemporaneità. Perugia e l’Umbria, scabre e forti,lo avevano spinto ad una persuasa concezione della poetica e della poesia; ugualmente lo spinsero a valutare con gli stessi parametri la storia di questa Città e di questa Terra. Dunque, tra poesia e storia, tra poesia e politica nessuna separazione. La prima non può che nascere da un’esistenza dinamica, che ne include ogni aspetto: dall’esperienza vitale, a quella culturale, politica e letteraria. Tutte insieme costituiscono la seconda, cioè la storia, nella quale prendono forma la poetica e la poesia “delle personalità creatrici” 13 , ma anche, appunto, l’attività politica, e ogni altra, inclusa quella letteraria.
La storia che Binni soprattutto considera non è tanto quella che ha generato – come ricorda ne “La tramontana a Porta Sole” – la loggetta rinascimentale al sommo dell’Arco etrusco o la facciata di San Bernardino di Agostino di Duccio, opere apprezzabilissime, ma che egli in sostanza considera assimilabili ai panorami carducciani del “Canto dell’amore”, “riposanti e distesi”, lontani dalla sua sensibilità . Al contrario Binni ha visto una precisa corrispondenza tra i caratteri geografici e climatici di Perugia e quelli della sua storia “fatta soprattutto di impegni duri, di lotte acri, di faticose conquiste civili e militari, di guerre e di ribellioni, di resistenze magari sfortunate che impegnavano tutta la popolazione”, che erano espressione di “una civiltà concreta e costruttiva, capace di un grande sforzo istituzionale (come fu la creazione di un organismo comunale che ebbe complessità e durata pari a quelle di Firenze e di Siena), ma una civiltà anche faticosamente difesa con atti decisivi di volontà collettiva che segnano profondamente la non facile storia della città” 14 .
L’episodio più significativo di questa storia, per Binni, è sempre stato il 20 giugno 1859, “un punto fermo nella storia moderna di Perugia [che] ne consolidò il fondo democratico, laico, popolare…e che…rimase tenace anche dopo, soprattutto negli strati popolari più autentici e in quei gruppi intellettuali borghesi più legati alla tradizione del 20 giugno e alla prospettiva risorgimentale democratica.” Questa tradizione popolare entrò nella formazione politica di Binni, che ricorda di quei popolani “le battute antipadronali” («il padrone ce l’hanno i cani») e la tenace “resistenza…all’affermarsi della dittatura fascista”. “Ma – seguita Binni – meglio compresi la loro natura e la loro serietà morale e civile quando per merito di Aldo Capitini, venni a contatto con molti di loro, che, sullo stimolo della guerra antipopolare di Spagna, riprendevano una vita politica attiva e trovavano nuova forza dal loro incontro con alcuni giovani intellettuali della città e con i numerosissimi antifascisti che in quegli anni venivano a Perugia incontrandosi o nei luoghi solitari della campagna o addirittura spesso nello stesso studiolo di Capitini, nella torre campanaria del Palazzo Comunale, reso sicuro dalla sua stessa ovvietà e centralità” 15 .
Il significato della tradizione politica popolare perugina è stato precisato da Binni in varie occasioni, ma in modo organico nel suo discorso celebrativo del XX giugno 1859, tenuto alla Sala dei Notari il 20 giugno 195416 . Quel moto rivoluzionario evidenziò la rilevante presenza politica della componente popolare e democratica mazziniana. A Perugia accanto alla borghesia attiva e dedita alle professioni e ad altre varie attività, “dotata di coscienza politica e della coscienza della propria validità storica” 17 , si schierò “un ceto popolare di antica tradizione artigiana e ardentemente democratico” 18 . La prima era prevalentemente liberal-moderata e cavouriana, il secondo mazziniano, cioè democratico e repubblicano. Guidati da Annibale Vecchi i mazziniani, numerosi e combattivi, dettero un contributo significativo al moto rivoluzionario e, nei giorni che lo precedettero, funsero da puntello e da stimolo all’azione non brillantissima del governo provvisorio composto da moderati, eroici, come Francesco Guardabassi, ma troppo fiduciosi nella politica estera cavouriana, pronta a sacrificare Perugia per conseguire lo scopo prefissato, di fare, cioè, l’unità tenendo da parte quanto più possibile le forze popolari e democratiche. Binni non ha mai rivisto questo suo giudizio, neppure di fronte al 20 settembre 1860, avvenimento che anzi lo ha confermato, dato che quella liberazione accadeva nella linea politica voluta da Cavour. Egli non “perdonava” al moderatismo cavouriano di non aver consentito ai volontari umbri di scendere dal nord per difendere Perugia, e di aver negato loro, più tardi, di prendere parte alla sua liberazione. Ciò era tanto più grave se si considera la decisa disponibilità politica mostrata dai mazziniani sia nella difesa della città, sia nella sua liberazione, per le quali avevano momentaneamente messa da parte non senza imbarazzo la pregiudiziale repubblicana. Binni, tuttavia, rimaneva stupito ed ammirato di fronte al comportamento del popolo perugino, che “nella eroica decisione della resistenza e nella fermezza con cui sopportò le conseguenze della battaglia, dette la più alta prova della sua esistenza civile e mostrò nella stessa concordia tra le forze borghesi e popolari accomunate…un’esemplare compattezza e, preferendo il sacrificio alla servitù, intuì che in quel modo non solo si salvava la dignità di un popolo, ma si dava una base sicura e salda al suo sviluppo…”19 .
Nello stesso discorso, questo spirito di libertà, di autonomia, di laicità, di esigenza della novità, elemento da allora in poi consolidatosi nella coscienza civile e politica popolare perugina, viene ricollegato da Binni al non meno tragico 20 giugno 1944 ( questo giorno che per Perugia sembra tornare come giorno del destino ), quando Perugia fu liberata dai nazi-fascisti, non senza aver pagato poco prima un ingente tributo di sangue versato dai suoi nuovi eroi, Mario Grecchi ed altri otto partigiani fucilati nel poligono di tiro, che porta il nome del XX giugno. Dice Binni: “E da quell’impegno lontano, da quella lezione di eroismo e di civiltà attinsero pur forza molti perugini combattenti contro la dittatura fascista…Ed ancora adesso, quando i termini della lotta politica sono tanto cambiati da quelli del Risorgimento e impegnano gli uomini in posizioni di valore universale e legano sempre più necessariamente la libertà e la democrazia alla soluzione del problema sociale, noi possiamo pure guardare con reverenza ed affetto a quella data gloriosa che rende ai nostri occhi ancora più bella la nostra città, ci fa lieti di esserne cittadini e ci impegna ad onorarla con la nostra attività più seria, con il nostro servizio alla causa di una umanità libera e fraterna” 20 . Parole che erano – e rimangono – la sintesi del suo pensiero, perennemente preoccupato che il diritto alla libertà non restasse un’astrazione, ma si sostanziasse con la giustizia sociale secondo la visione socialista e democratico-mazziniana, ma anche con la visione capitiniana dell’apertura ai tutti e della compresenza dei morti e dei viventi.
La riflessione sul legame tra Risorgimento e Resistenza antifascista e antinazista torna anche in alcune lettere intercorse tra Binni e Capitini. Mario Martini – autore della prefazione a quel carteggio – ha messo in risalto che per i fatti perugini del 20 giugno1859 e 1944 i due intellettuali intendono la liberazione, rispettivamente dal potere pontificio e dal nazifascismo, come il concetto che meglio lega quegli eventi e “ sta a significare liberazione dal dominio dell’uomo sull’uomo, dalla violenza, dall’asservimento al potere dall’alto21 ”. Liberazione che restituì la libertà ai perugini, consentendo loro di entrare nell’itinerario nazionale e, poi, dopo il fascismo, nella democrazia repubblicana. Un tema, questo della liberazione, sempre attuale e lacerante in Italia, e che anche recentemente, in occasione delle celebrazioni del 25 aprile 1945, ha costretto gli antifascisti italiani a ricordare che la liberazione è un prius logico e storico rispetto alla libertà e che quella ricorrenza non può, se non per convenienza politica, essere trasformata da festa della liberazione a festa della libertà, parola sacra, purchè non sia oggetto di facili speculazioni. Senza la lotta partigiana il popolo italiano non avrebbe ritrovato la propria dignità, limitandosi a ricevere da altri la libertà dopo essere stato sconfitto. Perciò gli autentici liberatori furono tutti quegli italiani, di diversa ispirazione politica, che dal 1943 al ’45 combatterono per liberare l’Italia. Gli altri combattenti sul territorio nazionale furono gli eserciti alleati, che non si preoccupavano tanto della dignità di un popolo, che avevano battuto e umiliato sui campi di battaglia africani ed italiani, quanto di sconfiggere i tedeschi e la Repubblica Sociale Italiana per porre fine alla guerra sullo scacchiere europeo, anche con l’aiuto proveniente dall’est, per ricostruire una società, almeno in Occidente, nella quale il contributo italiano fu richiesto, ma al quale non si lasciò il diritto di essere autonomo. La storia ricollocherà, a suo tempo, come sempre accade, al posto giusto, l’autentico significato di quelle pagine scritte da uomini che non lesinarono eroismo e sacrificio e che nella liberazione dai totalitarismi riguadagnavano, per la seconda volta, la loro indipendenza. Binni aveva ben chiara questa sequenza temporale, fin da quando, con Capitini, animava l’antifascismo perugino, prima per fargli prendere forza e unità, poi per resistere per liberarsi, quindi, dopo la guerra, finchè durò il comune intento democratico e antifascista, per avviare la costruzione della repubblica democratica secondo il dettato della recentissima Costituzione. Egli, già socialista militante fin dal 1943, partecipò all’Assemblea costituente, senza dimenticare in quell’aula le radici leopardiane, mazziniane,socialiste, liberali e democratiche della sua formazione culturale e politica, che, per lungo tratto, aveva seguito quella di Capitini.
Non sembra che lo storicismo si riduca in Binni a solo metodo; diventa una filosofia ( nonostante egli non ne fosse del tutto certo22 ) al cui centro egli colloca l’uomo con la sua libertà, che è protesta o, se si vuole, lotta infinita per non cadere preda di vane speranze, per riaffermare costantemente nella storia la centralità della dignità umana contro ogni offesa che cerchi di limitarla, di ricacciarla nel limite23 . L’uomo si chiarisce come un valore assoluto, in quanto persegue la sua piena realizzazione attraverso un indomito coraggio e un forte senso morale nel sostenere le proprie idee e nel fondare le proprie azioni. Questo itinerario non ha un termine se non nella morte dell’individuo, ma resta in quella « socialità infinita» capitiniana, nella quale l’uomo è inserito in quanto umanità. L’uomo muta pensiero, costumi, norme morali, ma ciò non gli impedisce di comprendere d’essere un valore assoluto; la prospettiva dell’apertura, la nonviolenza e la compresenza lo tolgono dalla solitudine finita dell’essere individuale e lo proiettano in un senso assoluto che permane nell’infinito farsi della storia. L’incertezza di Binni di assumere lo storicismo anche come una filosofia dilegua in queste categorie capitiniane, che eliminano il contrasto tra assolutezza e storicità, perché considerate entrambe dinamiche e risolte sul piano umano e storico. Ecco perché egli in politica – come in ogni altra attività della sua vita – non poteva che farsi intransigente sostenitore della libertà e di una rigorosa moralità intesa quale precondizione irrinunciabile per potersi dedicare a quella attività. C’è l’eco di Leopardi24 e di Mazzini25 , che, attraverso Capitini, si inverava nel socialismo, esperienza da cui Binni non si distaccò neppure dopo aver lasciato il partito, a cui si era iscritto nel 1943, rimanendo, comunque, per tutta la vita uomo di sinistra, “disorganico alla classe borghese…pertinace e volontario alleato della classe proletaria” 26 , ma fuori da strutture rigide e autoritarie27 . Perciò il suo socialismo, fedele da prima della Resistenza a certi intenti di sentirlo e di rappresentarlo, rimaneva fedele all’ideale del liberalsocialismo ( senza trattino tra i due termini, come insegnava Capitini contrario in linea di massima all’uso di quel segno, che non indicava fusione e novità, ma giustapposizione). 28
Dunque, nella riflessione di Binni i lontani fatti del 1859 e quelli della Resistenza, legandosi indissolubilmente, finiscono per costituire un tutto unico, che si è impresso nella mente della più gran parte del popolo perugino. Allo spirito risorgimentale si aggiunse, nel drammatico periodo compreso tra il 1943 e il ’44 ( ma la Resistenza alla dittatura era iniziata ben prima, già nella seconda parte degli anni Trenta ), lo spirito di un nuovo risorgimento, che, insieme al primo, dette slancio alla ricostruzione politica e morale di Perugia e dell’Umbria. Binni stabilisce un filo tra il 1859 e il 1944, che non si è mai interrotto e che è riapparso quando le circostanze, per lo più drammatiche, lo hanno richiesto. Egli ha sempre visto in esso un motivo non di separazione, di conflittualità, ma una occasione di formazione civile, politica, morale, quindi, di pacificazione sociale. Egli ha ricordato questo spirito resistente, proprio degli animi forti, che non intendono scendere a compromessi con la propria coscienza e che, però, non si chiudono al dialogo, al rispetto delle altrui idee, alla tolleranza, nel discorso celebrativo tenuto nell’Aula Magna del Liceo classico perugino “Annibale Mariotti”, in occasione del primo centenario della sua fondazione, nel novembre 1960, allorché ha sottolineato il legame tra spirito risorgimentale, fondazione del liceo classico e rinnovamento culturale, che, attraverso l’ingresso in politica di una parte sempre più consistente di popolo tra Ottocento e Novecento, doveva unire nella Resistenza gli uomini formati alla cultura umanistica con quelli di altre culture o di nessuna, spinti dal comune spirito di “sacrificio e dall’appassionato amore per la libertà e per la democrazia”. 29 Binni ribadiva il legame tra esperienza diretta, quale la vita offre a ciascuno, e l’istruzione e indicava nello studio il vero strumento per attuare lo spirito di rinnovamento, che già l’Italia neounitaria avvertiva come necessità e che l’Italia resistenziale riprendeva per uscire dalla guerra e dalla dittatura. In questo filo diretto, interrotto ma non spezzato dalla dittatura fascista, Binni vedeva la scuola pubblica di Stato come la protagonista indiscussa per la formazione civile, sociale, culturale e politica dei giovani del dopoguerra, e l’istituzione che, pur avvilita, non aveva rinunciato alla sua missione educatrice neppure durante il fascismo, nonostante l’occhiuto controllo esercitato dal regime sui programmi e sui libri di testo. Binni, nell’Aula Magna di quel Liceo, riprendeva parte del suo appassionato discorso tenuto all’Assemblea costituente nella seduta del 17 aprile 1947, in difesa della scuola di Stato, come l’unica in grado di formare alla libertà, alla tolleranza, al dialogo, allo spirito critico, insomma alla democrazia costruita giorno per giorno nella coscienza dei giovani; ma senza iattanza, come era suo costume, anzi con un preciso invito a seguitare il confronto pacato e civile, chiaro e senza riserve mentali. Posizione culturale e politica indubbiamente di grande tensione morale, che esprimeva la consapevolezza che i problemi emersi alla Costituente non erano ancora risolti nel 1960, dato che la scuola pubblica e laica non era accettata dalla più gran parte dei cattolici organizzati e dalla destra italiana. Posizione ancora attuale, dato che è in atto oggi un evidente tentativo di disfarsi della scuola di Stato, senza un autentico progetto innovativo, che indichi quale sistema dell’istruzione si possa sostituire all’attuale nell’interesse di tutti i giovani e dell’intero Paese. Egli, tra l’altro, disse :” La scuola pubblica è stato uno dei più grandi doni fatti dallo stato unitario nato dal Risorgimento a tutta la nazione, a tutti gli italiani, e questi si debbono stringere intorno ad essa come ad una salvaguardia fondamentale della loro libertà e della loro libera formazione, debbono sentirla ed amarla e, quando lo stato, per le tendenze politiche al governo, è meno sensibile a questo bene, devono stimolare lo stesso stato a meglio avvertire il suo dovere in tal senso, devono proteggerla con cura gelosa e interessarsene attivamente…In questo Liceo, pur sotto la cappa plumbea del regime fascista, io ho avuto compagni di diverse provenienze di razza, di religione, di ideologia familiare, ho avuto professori impegnati sinceramente in diverse direzioni di fede o di opinione e tutto ciò, lungi dal favorire confusione o indifferentismo, ha stimolato in me il senso del dialogo, della tolleranza, del rispetto di tutte le opinioni e di tutte le posizioni purché sincere e profonde…Solo la scuola pubblica si mostra atta all’avvio di una simile formazione aperta e consapevole…Non si costruiscono una civiltà e una società democratica se non su questa linea di formazione e perciò la scuola pubblica corrisponde all’interesse di tutti, o almeno di quelli che considerano un peccato contro lo spirito lo sfruttamento interessato delle menti giovanili, la loro coartazione in forme chiuse e prefigurate e considerano un bene supremo per tutti una formazione che permetta di avere uomini veri, coscienti e combattivi, decisi ad affermare le proprie idee ma sol dopo di aver conosciuto quelle degli altri…”30 .

Nel corso della sua lunga vita Binni ha avuto una serie infinita di incontri significativi, ma tra quelli che più contribuirono alla sua formazione, intesa in senso lato, spicca l’amicizia intensa e solidissima con Aldo Capitini, terminata solo con la morte del filosofo nel 1968.
In un documento non datato, ma collocabile tra il 1989 e il 1997, presente nel carteggio già citato, Binni ricorda in maniera esplicita che la sua amicizia con Capitini si può far risalire al 1931, anno cui corrisponde l’inizio di un vero e proprio discepolato “con molte varianti, ma che particolarmente ora mi si affaccia nella sua profondità al di là dei dissensi” 31 . Come nota Mario Martini, “la parte ideale e del suo [di Binni] eccezionale impegno civile [è] congeniale e insieme debitrice al filosofo della compresenza”. Da quella data il giovanissimo Binni inizia a partecipare a discussioni di poesia, musica, religione, politica. Sotto la guida di Capitini, in maniera via via più precisa, egli si orienta “fra prospettive da molto tempo nettissime nello svincolamento dalla religione tradizionale, e le remore gravi e scolastiche dei miti nazionali carducciani, dannunziani, pascoliani e degli inganni pseudo-sociali della dittatura” fino al “ fermo…rifiuto di ogni forma retorica, dogmatica ed autoritaria di pensiero e di pratica, preparato così a divenire egli stesso collaboratore di Capitini [nell’antifascismo] e nella creazione della complessa rete di rapporti clandestini, di cui Capitini era il promotore più geniale ed attivo” 32 . Questa amicizia, popolata da tanti altri coetanei di Binni o maggiori di lui, costituiva una vera e propria scuola di formazione culturale, civile e politica. Ecco, allora, che la formazione politica di Binni deve moltissimo a Capitini, anche se è pur vero il contrario. Binni nel tempo suggerì all’ amico filosofo l’idea di legare socialismo e liberalismo, che nel 1936 si concretizzò nel tentativo tirato avanti con Guido Calogero.
In diverse parti de “La tramontana a Porta Sole”Binni ricorda i nomi di insigni uomini di cultura, non solo letterati, ma anche filosofi, giuristi, filosofi del diritto e della politica, storici dell’arte, economisti, religiosi, con i quali egli era in contatto per motivi di studio e di lavoro, ma che si ritrovavano uniti anche nell’elaborazione dell’antifascismo e della sua organizzazione, attività difficile e pericolosa, che doveva portare molti di quegli uomini a patire il carcere, come toccò più volte a Capitini. 33 Questi intellettuali avevano avuto varie occasioni di recarsi a Perugia o segretamente convocati da Capitini come fondatore del movimento liberalsocialista, o da Averardo Montesperelli, presidente della sottosezione perugina del Regio Istituto di studi filosofici da lui fondata e alla quale aveva aderito quasi tutto l’antifascismo colto della Città. Alle conferenze filosofiche organizzate dall’Istituto partecipavano, dunque, numerosi intellettuali, perugini e non, che rappresentavano un forte nucleo di dibattito filosofico, il cui effetto, in qualche modo, usciva dalla cerchia degli specialisti e avvicinava all’antifascismo molte persone, ormai non più disposte all’attendismo. Nella primavera del ’43 il Regio Istituto smise di funzionare. Le sconfitte militari di El Alamein e di Stalingrado facevano presagire la sconfitta finale. Il fascismo ritenne di uscire da questa grave crisi rincrudendo le misure repressive e gli arresti. Il gruppo degli intellettuali che faceva capo all’Istituto non riusciva più a coprire il suo vero intento con il dibattito filosofico. E gli arresti seguitarono numerosi. Il 25 luglio e l’8 settembre non migliorarono le cose. A metà ottobre ’43 si costituì anche a Perugia il CLN ( PLI, PRI, Pd’Az, PSI, PCI ). Come ha ricordato Apponi, “Perugia fu la prima città dell’Italia liberata in cui non gli alleati, ma il CLN nominò: il prefetto, il sindaco e il questore” 34 Ormai l’antifascismo, in tutta Italia, dall’elaborazione teorica era passato alla lotta armata per la liberazione. Molti uomini che avevano aderito al liberalsocialismo passarono al Pd’Az. – Apponi, ad es. – mentre Binni entrò, come già ricordato, nel Partito socialista, Capitini, invece, non aderì ad alcuna formazione partitica, rimanendo indipendente di sinistra.
Nonostante questi intensi e fitti contatti con tante persone, che “erano” la cultura italiana, Capitini restava per Binni ( e per molti altri, come testimonia Montesperelli, già citato ) il maestro e l’amico maggiore d’età, visto quasi come un secondo padre che aiuta il figlio a maturare. Nel carteggio citato Binni riconosceva in molte lettere di aver bisogno della riflessione dell’amico, fino alla sua morte e fin nel saluto che egli gli rivolse alla cerimonia funebre, quando testimoniò con intensa emozione l’incancellabile eredità che l’amico scomparso lasciava a lui e a tutti coloro che lo avevano amato e seguito. Il diverso impegno politico non divise gli amici, perché gli ideali di fondo che avevano determinato le rispettive scelte erano i medesimi e, per Binni, tutti condivisi, anche se la nonviolenza era nel suo animo motivo di controversa riflessione. Quando Binni, diversi anni dopo, stanco della politica dei partiti, riprese la sua autonomia, si ispirò all’antico intento, che era stato proprio di Apponi e Capitini. All’inizio degli anni Trenta essi avevano deciso che “…una battaglia contro il fascismo si potesse più efficacemente combattere su posizioni di antagonismo morale anziché politico, per il quale i tempi non erano ancora maturi” 35 . Egli, ritirandosi dal partito, non intendeva mettere fine al suo impegno civile e politico, ma, data l’involuzione sempre più evidente della politica italiana, dare ad esso un diverso indirizzo, ricominciando proprio dalla fissazione di valori nuovi, che incamminassero finalmente l’Italia sulla via indicata dalla Costituzione. Binni era rimasto disilluso dal sistema di potere che si era delineato dopo la fine della guerra e consolidato a tal punto da rendere sempre meno efficace l’azione politica della sinistra. Il suo desiderio era ancora quello di creare una nuova società, inserendo la libertà nel socialismo nell’intento di trasformare radicalmente la realtà. 36 La sua delusione, invece, consisteva nel vedere il socialismo inserito nella libertà di una società che, nella sostanza, la garantiva a pochi, non a tutti, “in nome dei falsi valori del potere e della ricchezza” 37 . Una società ingiusta e violenta, che egli respingeva non solo in nome della protesta leopardiana, ma anche della filosofia del suo amico rivoluzionario nonviolento.
L’ampiezza della sua visione politica era, dunque, tale da influire necessariamente anche nella sua formazione letteraria, in una reciprocità d’intenti e di vedute che le rendevano inscindibili. Ferma restando sia l’autonomia della sua critica e dei suoi studi di storico della letteratura – come nota ancora Mario Martini – sia quanto egli aveva maturato negli studi normalisti e universitari, la formazione letteraria di Binni deve qualche cosa a Capitini. La comune riflessione su Leopardi, il confronto continuo sui temi che l’amico filosofo elaborava (anche su espressa sollecitazione del critico), come quelli della morte e della compresenza, erano occasione di approfondimenti di cui Binni sentiva la necessità per dare sempre più forza e certezza alla sua idea di poetica, nella quale la ricerca del senso ultimo della vita occupava un posto preminente ed utile anche per confermare la sua nuova interpretazione di Leopardi, che egli negli anni non ha mai cessato di precisare. Ma, nello stesso tempo, quegli approfondimenti giovavano anche a Capitini per collocare, con sempre maggiore persuasione, nella prospettiva infinita della compresenza dei morti e dei viventi un uomo votato all’apertura e all’amore, un uomo, cioè, che, come tale, vive già nell’immanenza la religiosità che per altri è propria solo della trascendenza.
Il pensiero di Walter Binni, così multiforme e complesso e, insieme, così omogeneo e unitario, di questo grande perugino, si rivela profetico di fronte all’attuale grave crisi che in Italia soffrono la cultura e la politica in una separazione che sembra causata dalla perdita di interesse per i valori. La protesta e la resistenza, secondo l’insegnamento di Binni, possono ricondurre alla ripresa dello spirito critico e alla ricostruzione di una prospettiva in cui nuovi valori fondino una società autenticamente libera, priva di falsi miti, cioè, rispettosa dell’uomo, di ciascun uomo e di tutti insieme.

Claudio Francescaglia

(1) Sergio Solmi:La letteratura italiana contemporanea, ora in: vol III,tomo I, Adelphi, Milano,1992,p.230. Solmi si riferisce all’opera di Binni:La poetica del decadentismo italiano, Firenze,1936.
(2) Raffaele Rossi:Presentazione in W.Binni:La tramontana a Porta Sole- Quaderni storici del Comune di Perugia, 2001, p. 12.
(3) W. Binni:Perugia e Leopardi, in:La tramontana,op.cit., p.40.
(4) Ibidem, p.41
(5) Ibidem, p.41
(6) “Perugia rimane pur sempre il luogo ideale della mia vicenda di uomo e di scrittore e ad essa si legano – o così mi piace pensare – le stesse mie vocazioni più vere, come quella all’intenso, che è la prima parola tematica della mia esperienza vitale e della mia personale poetica ( non mi attrae una bellezza che non sorga da un’esperienza sofferta, una serenità senza interiore conquista e senza vibrazioni elegiache, un equilibrio che non presupponga dinamica tensione di forze)”: in W. Binni:Autoritratto – 1960, in La tramontana, op. cit. p. 35; e ancora oltre, quasi un ringraziamento e un saluto finali alla sua città: “…devo tutto a Perugia ( o così mi piace pensare: il che è poi la stessa cosa ) per le origini e la formazione della mia personalità e del mio carattere temerario ed impratico, cui contribuirono anche le prime tenaci impressioni del suo paesaggio, il retaggio dei suoi impeti protestatari e ribelli, la sua lezione di essenzialità che scaturisce da ogni aspetto della sua asciutta, petrosa natura che si rivela interamente e si esalta soprattutto nell’inverno duro e dominato dalla tramontana”, in: Perugia nella mia vita-Quasi un racconto, in op. cit., p. 189.
(7) W. Binni: Autoritratto, in op. cit., p. 35.
(8) W. Binni: Perugia:la tramontana a Porta Sole, in op. cit., p. 24.
(9) ibidem, p.24
(10) È il titolo del primo capitolo dell’opera di W. Binni: La protesta di Leopardi, Sansoni, Firenze, 1977.
(11) “La poesia leopardiana più intensa ed alta non nasce da una separazione «depurante» della forza fantastica da quella dell’intelletto e della prospettiva morale, ma proprio invece dalla collaborazione e dal ricambio ed attrito dell’intero fascio di forze della personalità leopardiana, della sua fortissima coscienza morale, della sua tensione intellettuale… e [nasce] nella sua prospettiva di poeta portatore…di una persuasione eroica, di una intransigenza morale, di un coraggio della verità, di un pessimismo energico, inseparabili da una assidua battaglia nella storia del suo tempo”, condotta come forte “opposizione e protesta personale e storica”, come “lotta contro la scomparsa degli ideali e contro la mediocrità e la stoltezza…contro tutto ciò che depaupera e avvilisce le forze vere dell’uomo”, in W. Binni, La protesta, op.,cit., pp.5-6-8-9-
(12) Ibidem, p.10
(13) W. Binni: Autoritratto, in : La tramontana, op. cit., p.37
(14) W. Binni: La tramontana, op. cit., p.25
(15) ibidem pp. 26-27
(16) W. Binni: Il XX giugno 1859 nel Risorgimento italiano, ora in La tramontana, op. cir., pp. 45-68
(17) ibidem p. 48
(18) ibidem
(19) ibidem pp.67-68
(20) W. Binni :Il XX giugno 1859 nel Risorgimento italiano, op. cit. p. 68.
(21) Aldo Capitini- Walter Binni, Lettere 1931-1968, a cura di L. Binni e L. Giuliani, Carocci Editore, Roma, 2007,pp.12-13.
(22) Cfr. :Aldo Capitini – Walter Binni, Lettere 1931-1968, op. cit.,lettere n° 32, 124, 186, pp.47,116, 161.
(23) W. Binni : cfr. Per Aldo Capitini –Estremo commiato, in La tramontana, op. cit. pp.109-110.
(24) W. Binni :vedi nota n°3.
(25) W. Binni :[Mazzini] “la cui morte solevamo il 10 marzo qui a Perugia celebrare raccogliendoci con amici a Montebello da Migni Ragni”, in “Ricordo di Aldo Capitini, in La tramontana, op. cit. p.119. Angelo Migni Ragni fu un prete modernista, parroco di Montebello e antifascista, molto legato sia a Binni, sia a Capitini.
(26) W. Binni : Perugia nella mia vita – Quasi un racconto, in La tramontana, op. cit. p.188
(27) Cfr. Aldo Capitini- Walter Binni- Lettere 1931-1968, op. cit. lettera n° 82, p.85
(28) W. Binni : L’antifascismo a Perugia prima della Resistenza, in La tramontana, op. cit. p.99. Binni così scrive: [Il liberalsocialismo] non era “ un semplice contemperamento moderato delle nozioni classiche di liberalismo e socialismo, ma implicava la volontà…di fondare un socialismo tanto socialmente ed economicamente radicale quanto politicamente e giuridicamente concretato in forme di democrazia diretta, «dal basso»[secondo la concezione capitiniana] e quindi sempre aperto alla libera circolazione delle idee, mai chiuso in rigide strutture burocratiche ed autoritarie, né, d’altra parte, identificabile con un riformismo che agisse nella «libertà» intesa nella sua forma strutturata dalla società borghese. Come dirà poi Capitini, la formula base del «liberalsocialismo»…voleva essere questa:« massima libertà sul piano giuridico e culturale e massimo socialismo sul piano economico ».
(29) W. Binni :Il primo centenario del Liceo “Annibale Mariotti”, in La tramontana, op.cit. p.89.
(30) Ibidem,pp.90-91.
(31) Aldo Capitini – Walter Binni: Lettere, op. cit. p.18.
(32) W. Binni: Ricordo di Aldo Capitini, in La tramontana, op. cit. pp.114-115.
(33) Cfr.: Il primo centenario del Liceo “Annibale Mariotti”, p.89; L’antifascismo a Parugia prima della Resistenza, pp95 – 104, entrambi in La tramontana, op. cit.
(34) Cfr. Alberto Apponi: Un magistrato contro il fascismo, in Antifascismo e Resistenza, op. cit. pp.44 – 47. L’autore conferma, citando i nomi dei più noti, che molti intellettuali facevano capo a Perugia, così come dicono anche Binni e Montesperelli. Ciò significa che Perugia si stava preparando alla lotta, anche armata, contro il fascismo e contro gli occupanti nazisti.
(35) A. Apponi: op. cit. p.44.
(36) W. Binni: Aldo Capitini e il suo «colloquio corale», in La tramontana, op. cit. p. 124 , nota n°1.
(37) W. Binni:Perugia nella mia vita, in La tramontana, op. cit. p. 191.