Giovanna Lo Presti, Una violenta protesta. Walter Binni: l’intreccio fra ricerca letteraria e impegno politico e civile, «L’INDICE dei libri del mese», Torino, gennaio 2014, p. 13.

Un figlio che assuma il compito di farsi biografo del padre sa che la sua impresa non sarà facile, non foss'altro perché il racconto della vita di una persona così prossima lo porterà, necessariamente, a rivelare qualcosa di sé, a toccare corde profonde e sensibili, ad accantonare alcuni aspetti per privilegiarne altri, pur nello sforzo di offrire un ritratto verosimile del genitore. E il figlio sa anche che, per ogni lettore, sarà spontaneo ed inevitabile il confronto con il padre e che, difficilmente, da questo confronto si uscirà vincitori, quando il padre è stato un protagonista di primo piano della sua epoca. L'omaggio al proprio genitore ha quindi, al suo fondo, la rinuncia a quel sentimento di affermazione di sé che è tanto spontaneo negli esseri umani. La biografia che ne risulterà potrà essere più o meno bella da un punto di vista strettamente stilistico: se frutto di un impegno serio e convinto di ricostruzione, sarà sempre un'opera interessante e generosa, due qualità che rendono un libro degno di essere letto. La protesta di Walter Binni. Una biografia, di cui è autore il figlio, Lanfranco Binni (pp. 299, Il Ponte, Firenze 2013), insegna molte cose sulla vita di quello che fu uno dei più importanti critici dell'epoca post-crociana (ancorché una buona parte di queste informazioni si potessero ricavare da scritti dello stesso Walter Binni), ma soprattutto evidenzia un tratto fondamentale della personalità dello studioso: l'unione salda e mai interrotta tra l'impegno civile e politico, l'ininterrotta vocazione per l'insegnamento e la ricerca letteraria, entrambi coltivati con la stessa passione per tutta la vita.
L’opera, che esce nell’anno del centenario della nascita di Walter Binni, si pone in ideale continuità con altri libri di recente pubblicazione e cioè gli scritti politici dello studioso, raccolti in volume nel 2011 con il titolo La disperata tensione (sempre a cura di Lanfranco Binni, per le edizioni del Ponte); nel 2012 dall’editore Morlacchi è stato pubblicato Poetica e poesia nella «Ginestra» di Giacomo Leopardi, una raccolta di interventi su Leopardi fatti nell’ultimo periodo della vita di Binni, quasi a chiudere idealmente l’indagine del grande critico sull’autore prediletto, indagine iniziata negli anni trenta, con la “tesina” intitolata L’ultimo periodo della lirica leopardiana (presentata come saggio del terzo anno in Letteratura italiana a una commissione presieduta da Attilio Momigliano), inedita e anch’essa pubblicata in questi anni (Morlacchi, 2009).
Già dal titolo, ricalcato su quello di uno dei saggi più famosi di Binni, La protesta di Leopardi, si intuisce che l'aspetto privilegiato da Lanfranco Binni nello stendere la biografia del padre sarà quello del coerente e costante interesse attivo per la politica, inserito nella cornice degli eventi che caratterizzano la storia del nostro paese dagli anni trenta agli anni novanta. Il volume è diviso in due parti: la prima è introdotta da uno scritto autobiografico di Walter Binni (si conclude con un tema di quinta ginnasio svolto brillantemente da un Binni quindicenne, prova certa della precocità d'ingegno dello studioso, destinato poi a divenire una delle voci critiche più autorevoli sul Settecento italiano, sul preromanticismo e, soprattutto, su Leopardi). Nella seconda parte, a cura di Lanfranco Binni e Chiara Scionti, viene presentata una scelta di lettere che va dal 1931 all'anno della morte del critico, il 1997: lettere in cui si nota la varietà degli interlocutori e che sono testimonianza della posizione di intransigente, vitale fedeltà ai propri ideali di Walter Binni, sempre pronto a battersi in nome di una realtà possibile e migliore, che è quanto di più lontano dagli appelli senza criterio alle reali possibilità e alla responsabilità che ogni giorno coloro che decidono i nostri destini collettivi ci propinano.
Uno degli incontri fondamentali per la vita di Binni avviene precocemente. Negli anni in cui è iscritto alla Normale ed è allievo di Momigliano, frequenta Aldo Capitini, di cui diviene amico e compagno di lotta politica, pur nella diversità delle posizioni (l'uno “libero religioso e rivoluzionario nonviolento” - per citare l'epigrafe sulla tomba di Capitini scritta dallo stesso Binni, l'altro socialista di “costituzionale anticlericalismo e anticattolicismo”). I due si incontrano per la prima volta nella loro città, Perugia, nel 1931, nello studiolo di Capitini situato nella torre campanaria municipale: Binni ha 18 anni, Capitini 32, lavora come segretario alla Normale e ha dedicato a Leopardi, che diverrà l'autore prediletto da Binni, la tesi di laurea e la tesi di perfezionamento. È l'inizio di un'amicizia che li vedrà affrontare fianco a fianco il fascismo, la guerra, la Resistenza, l'esperienza dell'Assemblea Costituente (di cui Binni farà parte) e poi i primi, complessi anni, della Repubblica. Il progetto del “liberalsocialismo” li accomuna: si tratta, per dirla con le parole di Binni, “di fondare un socialismo tanto socialmente ed economicamente radicale quanto politicamente e giuridicamente concretato in forme di democrazia diretta...”, idea questa che trova la sua sintesi nella formula capitiniana della “omnicrazia”, il potere di tutti e dal basso.
Alla radicalità del pensiero, alla tensione etica e politica verso una società di eguali Walter Binni non rinuncerà mai. Lo troviamo a Roma, a metà degli anni sessanta, immerso nel lavoro di ricerca e nella didattica, accanto agli studenti universitari, pronto a sostenere le loro proteste contro i rigurgiti neofascisti e gli atti di violenza dei picchiatori di Alleanza Nazionale, sempre puntuale nel denunciare la complicità del rettore Papi, anch'egli, come i neofascisti, convinto della necessità di salvare l'Ateneo romano dai “comunisti”. Toccherà a Walter Binni tenere l'orazione funebre per lo studente Paolo Rossi, morto nel 1966 in seguito ad un'aggressione che viene spacciata da Papi per “mera disgrazia”. Sarà l'inizio di una nuova fase, in cui il movimento degli studenti, unito al movimento operaio, si batterà per una società più giusta; Binni si troverà accanto ai giovani universitari, ne accoglierà le richieste, prenderà posizione nelle battaglie civili di quegli anni e si farà promotore di iniziative contro quell'involuzione autoritaria della società italiana, che già si andava profilando, proprio mentre più alta sembrava la tensione verso un maggior grado di democrazia. Non esiterà a prendere le difese di Giambattista Lazagna, ex-comandante partigiano, arrestato nel 1972, dopo la morte di Giangiacomo Feltrinelli e di nuovo nel 1974, con l'accusa di essere a capo delle Brigate Rosse.
Non basteranno né l'avanzare degli anni né la salute malferma a spegnere il suo impegno civile. La biografia di Lanfranco Binni ne offre ampia documentazione. Valgano, per tutti, pochi esempi: nel dicembre del 1981, per commemorare la morte di Ferruccio Parri, Binni scrive un documento intitolato Un volto nobile fra tanti ceffi ignobili in cui, sdegnato, se la prende con un Paese che ha tollerato “a lungo il viso risibile di un capo dello Stato che ballava la tarantella, che faceva le corna agli studenti che giustamente lo fischiavano, che parlava come un paglietta di infimo ordine e che tuttora tollera i visi di sacrestani furbastri pseudo-scrittori di melensi libri di papi e di altre simili amenità, di mediocri corporativisti aspiranti pittori (cui non mancano gli elogi di intellettuali e artisti dell'opposizione) […] di politici che frequentano l'eletta compagnia dei Caltagirone, dei Sindona, dei nemici più neri della democrazia, e che sono dentro fino al collo in tutti gli scandali e in tutte le trame reazionarie”. Lo studioso fa ricorso al suo amato Leopardi nell'articolo che comparirà su «Cinema Nuovo», dal titolo Il messaggio della “Ginestra” ai giovani del ventesimo secolo: l'invito è “ad una lotta per una concorde e attiva prassi sociale, per una società comunitaria di tutti gli uomini, veramente libera, ‘eguale’, giusta ed aperta, veramente e interamente fraterna: lotta il cui successo non ha alcuna garanzia e che è tanto più doverosa proprio nella sua ardua difficoltà”. Il riflusso degli anni Ottanta e il “crollo delle ideologie” (quanta falsità in tale definizione, che celebra il trionfo del “pensiero unico” e cioè dell'ideologia tout court!) non basteranno a spegnere la speranza in un possibile miglioramento sociale. Definendosi “intellettuale disorganico a ogni partito”, scrive nel marzo del 1994 a Fausto Bertinotti, chiedendo la tessera del Prc: “Ma ora che il nostro paese è minacciato dalla vittoria di una destra ultrareazionaria e assolutamente antidemocratica, sento il bisogno di impegnare il mio nome e le mie residue energie (sono del 1913!) in una comunità di ‘compagni’ sostanzialmente orientata nella prospettiva che mi sostiene ancora, com'è stato per tutta la mia lunga vita...”.
Gli ultimi anni di Binni conservano l'energia intellettuale e la capacità di giudizio che ha segnato l'intera vita del critico. Pessimista rispetto a ciò che sta accadendo in Italia in ambito politico (“considero pericolosissimo oltre che illusorio pensare di poter procedere, insieme con minoranze composte da ex fascisti e da uomini che sono espressione di un partito-azienda, ad un raddrizzamento della situazione italiana”) è, come il suo Leopardi, “violentemente protestario” e desideroso di una società migliore, autenticamente fraterna. Nelle sue ultime interviste dichiara di non nutrire nessuna fiducia nelle virtù taumaturgiche della letteratura e di essere convinto che “la poesia da sola non basta, essa va innervata in ogni altra attività umana”. Questa la lezione ultima di un critico in cui il rigore degli studi è stato percorso da una costante, disinteressata, altrettanto rigorosa ricerca di una società di liberi ed eguali. Ed è emblematico che nel 1940 mentre la seconda guerra mondiale straziava il mondo, Walter Binni scrivesse Vita interiore dell'Alfieri, come affascinato dalla personalità di quell' autore “arciaristocratico” (così lo definì Goethe) e ribelle. Pochi anni più tardi, tra l'ottobre del 1943 e il maggio del 1944, a Cortona, un altro giovane critico, Giacomo Debenedetti, scriveva, anch'egli di getto, Vocazione di Vittorio Alfieri e affermava: “Se il messaggio dell'Alfieri vale ad organizzare idealmente fin nel fondo delle solitudini a cui siamo costretti, la nostra opposizione, vorremmo che domani ancora esso tornasse: ci aiutasse, oltre la crisi, a ricordare che cosa siano le tirannidi”. La biografia di Walter Binni, nel nostro mondo affetto dall'epigonismo e dallo svilimento della cultura a moda, ci riporta a quelli che dovrebbero essere i valori fondanti di ogni intellettuale. Non ci si faccia frenare nella lettura dalle righe iniziali (“Sono di origini in parte aristocratiche (3 quarti), in parte (1 quarto) borghesi-terriere...”). Quello che si rivelerà, nelle pagine seguenti e nella scelta di lettere che conclude il volume, è un uomo di singolare fermezza ed intelligenza – l'intelligenza della mente e del cuore – disorganico rispetto alla classe da cui proviene, uno “scomodo ma pertinace e volontario alleato della classe proletaria”, anche quando i contorni di questa classe diventano indefiniti e resi sfocati dalle sirene del consumismo e dalla perdita della coscienza di classe.