Un libro e l’ultimo numero della rivista «Il Ponte» dedicati all’opera critica di Walter Binni

Marco Gatto, L’eredità dimenticata di un pessimista rivoluzionario, Il Manifesto, 2 ottobre 2011.

In tempi di incertezza sociale e di crisi del sapere umanistico, si fa più viva e urgente la necessità di guardare all'esempio dei maestri del passato. Ne sentiamo la mancanza, perché legati a una condizione di orfanezza che pare insanabile, cifra di un'intera stagione della vita politica e culturale che ha eroso ed esaurito la tradizionale dialettica tra padri e figli, lasciando un vuoto di dialogo e di conflittualità. Walter Binni ha rappresentato, per una generazione in particolare, un modello di «letterato-intellettuale» da seguire e imitare. E l'endiadi pare appropriata perché, in fondo, oggi revocabile, se riferita alla costellazione intellettuale italiana: in larga parte, il nostro paese non dispone più studiosi di letteratura capaci di pensare l'attività critica come proposta politica, o di convertire il proprio progetto di ricerca in uno sforzo di comprensione alternativa dell'esistente. Certo, la cornice ideologica e politica è cambiata, e l'ideologia neoliberista, con le sue teorie sulla fine della storia e delle grandi narrazioni, ha creato un disorientamento costante, tale da trasformare gli intellettuali in una schiera di battitori liberi. Ma dietro questo discorso mistificante, costruito ad arte, si cela l'intima necessità di riaffilare le armi della critica, e di spingere quest'ultima oltre le barriere disciplinari, verso un corpo a corpo con la realtà.
Gli scritti di Binni e il suo percorso di studioso rappresentano, di questo necessario scontrarsi con i problemi della contingenza, un esempio per certi versi magistrale. Non solo per ragioni meramente biografiche - Binni ha sempre coniugato la sua attività culturale a un intenso impegno politico: basti ricordare che prese parte all'Assemblea costituente -, ma perché la forza dei suoi interventi saggistici, si parli degli scritti sul decadentismo o delle analisi leopardiane, si misura sulla base di una capacità sempre vigile di cogliere il dato politico e di far reagire la lettera del testo con le resistenze del mondo (e viceversa), proiettando l'esercizio critico verso una pratica di attualizzazìone e di responsabilità sociale.
È la rivista «Il Ponte» a intraprendere, negli ultimi tempi, un percorso di approfondimento e riproposìzione degli insegnamenti di Binni. Per le edizioni collegate al periodico, Lanfranco Binni ha raccolto gli interventi di caratura militante in un volume dal titolo La disperata tensione. Scritti politici (1934-1997) (Il Ponte Editore, pp. 352, euro 20); l'ultimo numero è invece uno «speciale» con annessa bibliografia generale (curata da Chiara Biagioli) sulla lezione del critico perugino e raccoglie numerosi interventi, ripartiti in quattro macrosezioni, dedicate rispettivamente al metodo d'analisi e alle questioni di teoria letteraria, all'attivismo etico-politico, alle testimonianze di intellettuali e scrittori e a un percorso di sette interventi firmati da Binni su questioni politiche e culturali. Fra questi spicca l'invito rivolto, in un articolo del 1988, alle nuove generazioni di seguire l'insegnamento de La Ginestra leopardiana, in tempi che chiamano «ad una lotta per una attiva e concorde prassi sociale, per una società comunitaria di tutti gli uomini, veramente libera, "uguale", giusta ed aperta, veramente e interamente fraterna: lotta il cui successo non ha nessuna garanzia e che è tanto più doverosa
propria nella sua ardua difficoltà». È un ideale leopardiano, a cui Binni associa il suo «pessimismo rivoluzionario», il suo materialismo sempre vigile e pronto a demistificare il riflusso misticistico e nichilistico dei nostri tempi, il suo impegno per un socialismo attento alle libertà individuali, e per questo non servo del liberismo selvaggio e sempre pronto a ristabilire la propria distanza dalle logiche di mercato.
Al di là delle opinioni che può suscitare la specifica posizione politica di Binni, resta indubbio il fatto che presenze come la sua oggi ci mancano, e il peso di quest'assenza - che è il riflesso di un vuoto sociale più ampio - è direttamente legato alla necessità di riabilitarne la lezione, il magistero.