WALTER BINNI TRA POETICA E POLITICA
Sotto il titolo Una disperata tensione Lanfranco Binni ha raccolto e introdotto per Il Ponte Editore una scelta di scritti essenzialmente politici del padre Walter, apparsi per lo piú in periodici e fogli di battaglia oggi dimenticati. Ed è un regalo bellissimo che ci ha fatto.
Perché Binni non fu soltanto lo studioso di letteratura (cioè l’indagatore anticrociano della poetica intesa come contesto etico, politico, ideologico, anche umanamente psicologico, da cui l’opera dei poeti prende nutrimento), che quelli della mia generazione impararono a conoscere fin dal liceo; ma anche un militante socialista a tutto tondo, tanto piú interessante per la riflessione storica quanto piú lacerante e “disperato” fu il suo impegno, come oggi retrospettivamente, a giochi fatti, non può che apparirci quello di un esponente autentico del socialismo italiano.
Binni appartiene a quella leva di giovani intellettuali (si era formato alla Normale di Pisa) che avevano compiuto il loro «lungo viaggio attraverso il fascismo», approdando a una coscienza decisamente antifascista. Nel suo caso ciò era avvenuto anche sotto l’influsso dell’amico, perugino come lui, Aldo Capitini. Da questi Binni aveva appreso sia il nesso inscindibile tra radicalità antifascista e socialismo, sia la centralità della questione della «libertà nel socialismo» come prospettiva antistalinista e insieme non socialdemocratica tipica della concezione «liberalsocialista» (il termine fu introdotto da Capitini per essere, come si sa, immediatamente ripreso da Guido Calogero). Di questa tendenza Binni rappresentò fin da subito, senza ambiguità, l’anima di sinistra: al punto da non aderire al Partito d’Azione, dove la maggior parte dell’esperienza liberalsocialista confluí, ma a quel Partito socialista del 1944, risorto con il nome di Partito socialista italiano di unità proletaria al momento della fusione con il Movimento di unità proletaria di Lelio Basso.
Nella sostanza questa posizione politica si poneva l’obiettivo non già di una democrazia progressiva alla Togliatti, e neanche di una rivoluzione democratica di marca azionista (le due proposte, al di là delle pur non trascurabili differenze, avevano molto in comune), ma di una rivoluzione sociale proletaria da attuare, però, in una chiave luxemburghiana e non leninista. A posteriori, come si vede, una vera e propria quadratura del cerchio.
In che cosa sarebbe consistita una rivoluzione siffatta, che aveva naturalmente il suo presupposto nella liberazione dal fascismo? La potremmo definire come un’esplosione e una diffusione di democrazia diretta sul genere di quella avviata a Perugia con il Centro di orientamento sociale di Capitini, un osservatorio e un’assemblea permanente sui problemi della città; oppure avrebbe potuto significare la realizzazione della parola d’ordine «tutto il potere ai Cln», intesi come organismi di autonomia e democrazia dal basso. Ma ciò non avvenne, non poteva avvenire. La situazione italiana era infatti bloccata dalla nascente divisione del mondo in zone d’influenza, a cui la sinistra, nella sua parte largamente maggioritaria, semplicemente soggiacque. L’unico risultato che si riuscí a strappare fu l’avvento della Repubblica e l’Assemblea costituente.
Nella Costituente Binni fu presente come deputato socialista eletto nella sua Umbria. Al momento della scissione del 1947 non aderirà a nessuno dei due partiti, pur entrando, da indipendente, nel gruppo parlamentare saragattiano. Il rapporto con Ignazio Silone (su cui occorrerà ritornare) e la sua rivista, «Europa socialista», segna la continuazione del suo impegno politico. Binni rientrerà nel partito all’inizio degli anni sessanta, per uscirne definitivamente quando il fallimento del centrosinistra e della riunificazione socialista saranno un fatto compiuto. Nel mezzo, i suoi interventi in morte di Paolo Rossi, lo studente socialista rimasto ucciso nel 1966 a seguito di un’aggressione fascista all’università di Roma, sono una pagina di alto valore morale e civile.
Che cosa si ricava dalla lettura di questi saggi, discorsi e articoli di Binni? Si potrebbe rispondere: una grande tristezza per ciò che sarebbe potuto essere e non fu. Ma si potrebbe dire altresí: una grande spinta a continuare, a non darsi per vinti sul piano culturale prima ancora che politico. Binni appartiene a quel piccolo novero di intellettuali italiani, coerenti e non opportunisti, che hanno ritenuto di fare anzitutto opera di testimonianza. Ai suoi tempi, i burbanzosi burocrati di quella sinistra che crede di sapere il fatto suo l’avranno considerato un utopista esperto di Leopardi ma privo di vere capacità politiche. Oggi l’avventura e l’esempio di quelli come lui ci appaiono un punto di riferimento, quasi un punto di partenza per ricostruire il paese. Quando sarà.
Rino Genovese