Per Franco Croce

Programma

A un anno dalla tragica scomparsa di Franco Croce, i suoi amici e allievi genovesi gli dedicano una giornata di studi il 15 dicembre (Teatro Duse), di cui riportiamo il programma, preceduto dal profilo che Quinto Marini ha pubblicato sull'ultimo numero della "Rassegna della letteratura italiana"(CIX, 2005, 1, pp. 13-15) .

Per un ritratto di Franco Croce


Franco Croce è stato innanzitutto un professore, un insegnante di letteratura italiana. Dall'anno accademico 1949-'50 alla fine del 1999, per cinquant'anni ("mezzo secolo", diceva lui con orgoglio), la sua seconda casa è stata l'Istituto di Letteratura Italiana dell'Università di Genova.
La sua carriera universitaria è cominciata lavorando con Walter Binni - chiamato a Genova nel dicembre del '48 - come suo assistente e come animatore della rifondata "Rassegna della letteratura italiana", divenuta sotto la nuova direzione un'officina culturale nella Genova della ricostruzione, con collaboratori come Giovanni Ponte, Salvatore Rotta, Riccardo Scrivano, Mauro Manciotti. Sono state le recensioni sulla "Rassegna", via via trasformate da schede informative in veri e propri interventi critici ordinati in sezioni cronologiche, il primo esercizio letterario di Franco Croce in un secolo insidioso come quello dell'allora malfamato Seicento (per qualche annata mantenendo la contitolarità anche del Cinquecento). E dalle recensioni, cioè dalle sue discussioni da critico militante sugli ultimi lavori di altri studiosi sono poi nati i saggi e i libri sul Barocco: dalle lunghe schede su Giambattista Marino (un vero e proprio articolo, ad esempio, la recensione del n. 1/1955 della "Rassegna" alle antologie di Marino e i marinisti, uscite entrambe nel 1954, a cura di Giovanni Getto per la Utet e di Giuseppe Guido Ferrero per la Ricciardi) hanno preso avvìo il saggio La discussione sull'Adone ("La Rassegna", 3-4/1955), e i capitoli sul Marino per I classici italiani nella storia della critica, II, Firenze, La Nuova Italia, 1956, e per I Minori della Marzorati (Milano, 1961); dagli interessi per la riscoperta dell'intellettuale Carlo De Dottori è nata la monografia del 1957 (Firenze, La Nuova Italia); analogamente, dall'attenzione per i rinnovati studi su Federico Della Valle dei primi anni Sessanta, e dal particolare interesse per la portata ideologica del suo teatro (che ispirò direttamente il saggio sull'"Ester" e la polemica anticortigiana, nel n. 1/1964; ma si vedano, nella Rassegna bibliografica del Seicento di questo stesso numero, alcune intense schede dellavalliane), è nato il libro di Croce su Federico Della Valle del 1965, ancora per La Nuova Italia; mentre una serie di appuntamenti fissi nella "Rassegna", sui Critici moderato-barocchi (n. 3-4/1955 e 2-3/1956), su Tre lirici dell'ultimo barocco. Artale, Lubrano, Dotti (n. 3/1961, n. 2/1962, n. 1/1963) e sul Marinismo conservatore del Preti e del Bruni (n. 1/1965) venivano raccolti nel volume Tre momenti del Barocco letterario italiano, Firenze, Sansoni, 1966. E l'anno dopo, nel Seicento della Storia della letteratura italiana diretta da Emilio Cecchi e Natalino Sapegno per la Garzanti, Franco Croce firmava il capitolo Critica e trattatistica del barocco.
In questi anni di riscoperta del Seicento, in piena autonomia e con grande originalità innovativa (un'originalità che lo rende tutt'oggi ammirato e seguìto da una schiera di giovani studiosi del Barocco), Franco Croce andava così maturando personalmente la lezione del suo maestro Binni, la sua grande passione per la storia e la politica, e l'attenzione per la "poetica" degli autori intesa come complesso "farsi" dell'opera letteraria in rapporto alle condizioni esistenziali e storiche, ai problemi reali che innervano l'opera stessa, che diventa opera d'arte non tanto per una bellezza di tipo astratto o ideale, quanto per la sua capacità di rispondere utilmente, e dunque modernamente, alle fondamentali istanze culturali e alle esigenze profonde dell'uomo, di ogni fascia sociale e di ogni epoca. Per questo Croce ha riservato un'identica serietà di studi sia ai grandi della letteratura, sia ai cosiddetti minori (ai poeti dialettali, ad esempio, come il fabbro cantastorie bolognese Giulio Cesare Croce, affrontato dall'infido côté della "letteratura popolare" nel n. 2-3/1969 della "Rassegna", o come il genovese Gian Giacomo Cavalli, studiato accanto al grande Chiabrera, secondo una prospettiva aperta e italiana della letteratura ligure che è sempre stata cara a Croce: si veda il suo L'intellettuale Chiabrera negli atti del Convegno savonese del 1988, Genova, Costa & Nolan, 1993), e agli antichi come ai moderni, in una sorta di democratico impegno intellettuale a comprendere e a valutare, spesso andando controcorrente, ogni espressione autenticamente storica della poesia.
Dal Barocco è così passato a Montale, al suo Montale studiato già dagli anni Sessanta e diventato argomento fisso di corsi universitari, di conferenze e convegni, e di nuovi appuntamenti sulla "Rassegna della letteratura italiana", dedicati alle Occasioni (n. 2-3/1966), alle "Conclusioni provvisorie" della Bufera (n. 2/1973), a Satura (n. 3/1983): studi che sono in parte raccolti in un volume, La primavera hitleriana e altri saggi su Montale, Genova, Marietti, 1997, che ha al suo centro il saggio più eticamente impegnato e appassionato di Franco Croce critico montaliano, scritto per gli ottanta anni del poeta su una lirica ritenuta da sempre fondamentale (ma intanto, nel 1991, era uscita dalla Costa & Nolan di Genova, con dedica a Walter Binni, la sua Storia della poesia di Eugenio Montale, di cui oggi studenti e docenti reclamano una ristampa).
Anche in questo importante nucleo dei suoi studi, le ragioni locali e private (Montale poeta genovese conosciuto personalmente a casa di amici e amato anche attraverso la sua terra di Monterosso: poco distante, a Framura, Franco Croce trascorreva le sue estati, muovendosi con straordinaria sicurezza tra i picchi delle Cinque Terre) sono scavalcate dalle robuste ragioni storicistiche e professionali del critico di letteratura italiana, che non è mai stato troppo indulgente verso la ligusticità di Montale e si è cimentato invece con le più alte espressioni della sua poetica, quali appunto La primavera hitleriana, seguendone poi gli sviluppi e la sorprendente vitalità anche nell'ultima sua fase produttiva. Non per voler spiegare tutto, ad ogni costo, della poesia di Montale - snervandola della sua forza comunicativa - , ma per volere, sì, ad ogni costo, consegnare intatti al lettore l'agonismo della sua opposizione agli orrori della storia, la tensione morale della sua resistenza al male di vivere.
L'atteggiamento critico tenuto da Franco Croce con il maggiore dei poeti moderni è analogo a quello riservato al maggiore degli antichi, a Dante, affrontato fin dal 1965 (Vincenzo Pernicone aveva organizzato un convegno internazionale per il centenario della nascita e Croce presentò una relazione sui Canti del Cielo di Giove, poi in Miscellanea di studi danteschi, a cura dell'Istituto di Letteratura Italiana dell'Università di Genova, 1966) e divenuto con Montale un altro appuntamento fisso di corsi monografici, di conferenze, di intensi seminari pomeridiani, di letture pubbliche (vincente la sua scommessa dei lunedì danteschi al Teatro Duse di Genova, stracolmo di gente che ascoltava i canti letti dagli attori; un'esperienza analoga sarebbe stata dedicata, sempre negli anni Ottanta e sempre con grande successo, alle poesie montaliane). Le sue letture della Divina Commedia, tutte tese a cogliere i nessi della parola dantesca con la realtà medievale, diventavano spesso lezioni di storia e di politica, magari immergendosi con perfetta padronanza in remote dinastie o in oscure casate nobiliari, per poi riemergere a illuminare la grande poesia che di quella realtà si alimenta e che non si può spiegare altrimenti. Anche la sua ultima lezione cattedratica, al termine dell'anno accademico 1998-'99 (voluta da lui nell'"Aula della Pantera" di Via Balbi 4, dove aveva affrontato anche le ultime contestazioni studentesche), non a caso fu dedicata alla seconda parte del canto XVII del Paradiso: il luogo della più alta e appropriata definizione della poesia della Commedia - biblico "grido" che "farà come vento" - è imprescindibile dalla polemica con "le più alte cime", ossia con gli uomini che hanno le maggiori responsabilità nei confronti della storia e dei suoi mali.
Ma se il ritratto di Franco Croce si chiudesse qui, col ricordo dei suoi studi e dei suoi libri, non sarebbe completo. Perché Croce, si diceva all'inizio, è stato prima che un critico e uno studioso di letteratura, un insegnante, un maestro che non sentiva la cultura e la passione letteraria come un esclusivo possesso personale, un accademico isolamento, ma aveva sempre bisogno - istintivamente e generosamente bisogno - di comunicare, di scambiare con altri conquiste, interessi, fermenti di idee. Chi è stato suo scolaro ha imparato molto anche camminando con lui per le strade di Genova, dall'Università a casa sua, attraverso Via Garibaldi e Via Luccoli, oppure passando per il brulichìo dei portici di Sottoripa. Per lui camminare tra la gente e parlare di letteratura - magari fermandosi improvvisamente a sbirciare dal portone di un palazzo antico o a cogliere con gioioso stupore la nuova luce di un restauro - è stato uno dei modi di amare la città, di vivere da cittadino il suo mestiere di letterato. [Quinto Marini]

Una Bibliografia degli scritti di Franco Croce e una sua breve Nota biografica sono state pubblicate nel volume edito per i suoi settant'anni, Studi di Filologia e Letteratura offerti a Franco Croce, Università degli Studi di Genova - Dipartimento di Italianistica, Roma, Bulzoni, 1997, pp. IX-XLIX.


programma

per Franco Croce

15 dicembre 2005
Genova, Teatro Duse