Aldo Capitini, Ricordi del movimento liberalsocialista a Perugia (1945)
Un articolo ritrovato (mai ripubblicato) di Aldo Capitini. Scritto nei mesi successivi alla Liberazione, ricostruisce con tratti essenziali e con esemplare semplicità il clima politico-culturale nel quale si sviluppò, da Perugia e su reti nazionali, l'esperienza del "liberalsocialismo". Aldo Capitini, Ricordi del movimento liberalsocialista a Perugia (da "Il Nuovo Risorgimento, 16 giugno 1945) Per ciò che riguarda me, c'è un antefatto, ed è Pisa, la Normale del '32. Io ero segretario della Scuola normale superiore ed assistente volontario di Attilio Momigliano. Stavo molto in mezzo agli studenti: alcuni normalisti erano miei ex-compagni, di quando ero stato anch'io normalista più anziano e poi perfezionando. Mai iscritto al partito fascista, in quell'anno presi una iniziativa di propaganda, ma non dalla parte politica, bensì da quella che chiamavo religiosa: reazione allo storicismo tra gentiliano e neocattolico conciliazionista che lì imperava, nonviolenza, nonmenzogna, teismo a carattere ultrakantiano, di cui qui non ho il proposito di riferire la storia e i documenti. Mio collaboratore fu Claudio Baglietto, che poi morì esule; e di lui sarà parlato degnamente. Io persi il posto della Normale per aver rifiutato di tacere e d'iscrivermi al numero dei più. Venni a casa a Perugia, studiai molto, davo lezioni. Nel '34-'35 cominciai a radunare un po' di amici, filofascisti i più, semplicemente per discutere. La libertà, il corporativismo, la politica estera, poi l'impresa etiopica, questi e simili erano i nostri argomenti: le discussioni erano accesissime e risonavano nell'angusto studio di Bruno Enei. Cominciavamo a rasentare il codice. Tra gli altri intervenivano Alberto Apponi, non iscritto al fascismo (ora capo del Partito d'Azione in Umbria, e presidente del Comitato provinciale di liberazione nazionale), Walter Binni, Giorgio Graziosi, Mario Frezza, Franco Maestrini, Augusto Del Noce, Averardo Montesperelli. Venivano amici da fuori, e specialmente da Pisa. Io stesso mi recavo qualche volta a Pisa, a Firenze, a Roma. "Far pensare" era il mio primo proposito; che quei giovani, e tutti intelligenti e intellettuali, si staccassero di dosso la seduzione psicologica operata dal fascismo e vedessero la genericità e la falsità delle formule e degli espedienti. Molto insistevo sulla "non collaborazione". In occasione di quelle discussioni e per loro stimolo, misi insieme, svolgendo le idee "religiose" della propaganda pisana del '32, una serie di capitoli ordinati, che mi portai a Firenze nel novembre del '36 per lasciarli a un gruppo di amici intorno ad Emanuele Farneti. Conobbi in quei giorni, lì a Firenze, il Croce, presentatomi da Luigi Russo. Era con me Walter Binni. Gli parlammo dello stato d'animo dei giovani, ed egli fu molto contento. All'ultimo momento pensai di fargli vedere quel dattiloscritto che avevo portato per gli amici, e siccome dovevo partire per Milano col Binni e Giansiro Ferrata, lo lasciai al Russo, pregandolo di mostrarlo al Croce. Questi mi propose poi di stamparlo; e così uscirono da Laterza gli "Elementi di un'esperienza religiosa" nei primi giorni del '37. Il Croce parlava di noi a Napoli, portò la notizia anche a Parigi. Nel '37 sorse più precisamente il nostro movimento liberalsocialista. Io, Apponi e Binni, tra Perugia ed Assisi (dove Apponi, pur non iscritto al fascismo, era pretore) combinammo l'iniziativa di promuovere un vero e proprio movimento etico-politico; ed io scrissi il manifesto, che ancora in Italia non è stato pubblicato, ed uscirà fra breve in un mio volume "La nuova socialità". Una copia di questo manifesto andò all'estero, e fu pubblicato anonimo nel primo dei "Quaderni italiani" negli Stati Uniti da un gruppo di italiani: Aldo Garosci, Bruno Zevi, Lamberto Borghi (che mi aveva conosciuto in Italia) ed altri. A Firenze avevo conosciuto Guido Calogero, e la nostra amicizia e la nostra vicinanza crebbe sempre più: ci accordammo per lavorare. Cominciò ad intervenire ai nostri convegni, molto ristretti per sfuggire alla polizia, che si tenevano in casa mia o ad Assisi. Vennero anche Umberto Morra, Norberto Bobbio, Giuseppe Dessì, Mario Alicata. A Perugia facemmo il possibile che fu: stare frequentemente con persone del popolo in conversazioni, passeggiate, diffusione di scritti, di libri; così vincevamo la diffidenza per gl'intellettuali, davamo nuova onda di certezza ai tenaci popolani ex-socialisti, e costituivamo una specie di sottocittà, nota a noi soli, con tutti gli antifascisti coscienti. Io, poi, prendevo spesso il treno, e tenevo i contatti con Milano (gruppi intorno a Parri, Lamalfa, Alfieri, Segre), Vivenza (gruppo Giuriolo), Bologna (gruppo Raggianti), Ferrara (gruppo Bassani e Dessì), Firenze (gruppo Tristano Codignola, Enriques Agnoletti, Calamandrei, Ramat), Pisa (la Normale da Russi a Patrono), Siena (gruppo Delle Piane, Bortone), Roma (gruppo Calogero, Comandino, Muscetta), Bari (gruppo Fiore), e molte altre città. A Perugia e da Perugia molto lavorarono Luigi Catanelli, Agostino Buda, Antonio Borio, Gianni Guaita, ad Assisi Franco Mercurelli. Ma non posso elencare centinaia e centinaia di nomi. E le idee? quali erano le direttive ideologiche? Ho voluto qui fare una storia piuttosto esterna. Delle idee, in succinto, dirò questo. Volevamo insegnare la libertà ai socialisti, il socialismo ai liberali. Il nostro movimento doveva essere il luogo di questo incontro, di questa nuova elaborazione. Ma l'assimilazione dei due termini, socialismo e libertà, doveva essere assoluta; e perciò ricordo lo sforzo che dovevo fare, d'accordo con Calogero, per conservare la denominazione di "liberalsocialismo", che a qualcuno spiaceva. Pensavamo non ad una mescolanza moderatrice, ma ad una intrinsecità vitalissima, che salvasse dai due pericoli resi evidenti dall'esperienza: il socialismo come statalismo dittatoriale, la libertà come privilegio. Vedevamo il socialismo come elemento di sviluppo della libertà che aveva prima combattuto l'assolutismo, poi l'imperialismo, ed ora doveva combattere la struttura capitalistica. Volevamo, insomma, una libertà concreta, che risolvesse i problemi circostanti. E perciò in un'antologia che facemmo, con pezzi di libri (molti di Laterza), mettemmo anche passi di socialisti; e il titolo generale era "Antologia della libertà". Sorgevano dei gruppi nelle città, e dai gruppi altri gruppi. Essi esploravano la situazione antifascista di ogni città, si tenevano a contatto con persone di altri partiti. Con l'estero nessun contatto continuo, perché sarebbe stato difficilissimo, e il pericolo non compensato dal vantaggio. Qualcuno di noi affermava la nonviolenza, nella forma di un rinnovamento più profondo e di una noncollaborazione attivissima. Ma sempre meno si discusse di quella, ed io la consideravo un'aggiunta personale di chi volesse. |