"Per un commiato" (1934)

Nel 1934 Attilio Momigliano lascia l’Università di Pisa per passare all’Università di Firenze. Sulla rivista pisana "Il Campano" (settembre-ottobre), Binni traccia un profilo del "Maestro", alla cui lezione di stile critico rimarrà sempre legato. Momigliano, colpito dalle leggi razziali fasciste del 1938 e costretto ad abbandonare l’insegnamento, morirà nel 1952; Binni ne pronuncerà l’orazione funebre. Il testo Per un commiato è anche particolarmente rivelatore della "poetica" del giovane critico.

Vogliamo parlare brevemente della partenza di Attilio Momigliano dalla nostra Università, perché non ci lascia un professore, ma un Maestro che rappresentava per noi, in un raro equilibrio di sensibilità e sicurezza metodologica, quasi l’incarnazione di una finissima critica estetica. Se della critica di Momigliano, in assoluto, non è questo il luogo di discorrere, qui vogliamo dare alcuni accenni di quelle doti del critico che già abbiamo notato nell’opera scolastica del Maestro.
Una mano che dove si posa afferra vita, una moralità artistica rigorosa che non permette mai l’indeciso, il superfluo, il naturalistico, un passo formale che non perde mai la coscienza di sé, al contatto delle varie personalità poetiche, un modo di aderire all’arte così schiettamente critico ed immediato da escludere in modo assoluto ogni professorale retorica. E una capacità di sceverare tutti i motivi di un poeta, di percorrere tutta la geografia sentimentale di un’anima, senza mai l’ombra di attaccamento ad una tesi. Qualità tutte che ci riconducono ad una indole critica originale, nativa, non avvizzita dalla cultura e superiore ad ogni elemento ambientale: basti ricordare in proposito che il Momigliano cominciò a fare critica estetica quando e dove non si faceva che critica storica.
Quando arrivammo all’Università e sentimmo per la prima volta una lezione del Momigliano, parve a noi diciottenni di essere stati traditi, tanto ci colpiva un’apparente differenza fra il docente e lo scrittore, tanto il docente ci pareva, a paragone dello scrittore, raggelato, lontano, nemico quasi: ci sembrava che non volesse donare nulla di vitalmente suo e che fosse immensamente annoiato del contatto con gli studenti. Ma bastarono poche lezioni perché ci accorgessimo quanta reale ricchezza celasse quell’apparenza di freddezza, e come una concreta passione critica, nel suo processo di espressione, fosse la causa di quella dizione lenta, scrutantesi, senza preoccupazione di oratoria. Allora comprendemmo il mondo spirituale e la forma critica del maestro e cominciammo perfino ad amare il suo modo di leggere, che in principio aveva tanto urtato la nostra cattiva abitudine a dizioni poco formali e prevalentemente psicologiche. Chi ci darà più certe letture squisite, spirituali, che ci fecero entrare immediatamente nel mondo poetico di alcuni minori settecenteschi, degli stilnovisti, di molti passi del Filippo o della Gerusalemme?
Ché la lettura del Momigliano, altamente critica (c’è già il tono di rilievo e di ombra che si spiegherà ragionativamente nella critica diretta) non ci sembra priva di quella adesione umana, di quella cosciente simpatia che ravviva e rende attuale l’opera d’arte.
In realtà quella sobrietà piena cui abbiamo accennato per la lettura, si ritrova ampiamente in tutte le sue lezioni di commento, che costituirono il più deciso punto di influenza del Maestro sulla nostra formazione.
Momigliano introduce alla parola definitiva, che non è poi mai formula astratta, ma giudizio rivivificabile appunto nelle membra del commento che la precede, con una sapiente presentazione di motivi, con una spiegazione che sarebbe erroneo ritenere superflua e scolastica in questo modo di fare.
Parlando di dati autori, adopera parole cavate intelligentemente dai loro originali modi poetici, adatte così a rendere in atto la loro presenza, e spiegando il testo, enuclea già i particolari formali e li media con parole sue alla sensibilità più comune mentre, d’altra parte, risponde ad un’esigenza di onestà e di anti-ermetismo che è fondamentale nella sua natura.
Per questa cura di sfuggire ogni involuzione, ogni processo non pienamente realizzato nella forma, di esigere l’idea netta, senza ganga sentimentale e senza aloni intellettualistici, ci fu maestro soprattutto nei contatti personali (in verità troppo meno frequenti di quanto avremmo desiderato), nei consigli che a noi, suoi scolari più diretti, dava per i nostri lavori.
Ci piace ripetere, in conclusione a questa breve nota, che non abbiamo conosciuto nel Momigliano mai il professore, ma sempre il Maestro: così nelle lezioni, così nelle esercitazioni di seminario, in cui le sue osservazioni rare e strategiche non erano imposte da un’autorità di cattedra, ma da una reale superiorità critica.
Ora che il Maestro ci lascia, riaffiorano in noi i motivi della sua personalità, i significati del suo insegnamento e sentiamo, per quella illuminante comprensione di sentimenti che è intima alla psicologia dei commiati, che era proprio un contenuto affetto paterno quello che troppo spesso ci era apparso un abito di noncuranza.