Discorso all’Assemblea Costituente sulla scuola pubblica (1947)

Eletto deputato del Partito Socialista all’Assemblea Costituente per la circoscrizion e Perugia-Terni-Rieti nel 1946, Binni è tra i protagonisti, insieme con Piero Calamandrei, Concetto Marchesi, Tristano Codignola, della lunga battaglia sugli articoli 27 e 28 della Costituzione (che poi diverranno gli articoli 33 e 34 nel testo definitivo) fra sostenitori della scuola pubblica e sostenitori della scuola privata. L’intervento che segue fu pronunciato nella seduta del 17 aprile 1947.

 
 
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l’onorevole Binni. Ne ha facoltà.

BINNI. Onorevoli colleghi, il mio intervento, fatto evidentemente non come giurista, quale io non sono, ma dal punto di vista di un uomo di cultura, si limita solamente a una rapida discussione del problema trattato negli articoli 27 e 28, cioè del problema della scuola, problema di tanta serietà e di tanta importanza che, giustamente, in un recente suo articolo, Guido De Ruggiero poteva scrivere che gli italiani non potranno dire di aver iniziato la loro ricostruzione nazionale se non avranno posto questo problema in primo piano, se non tenteranno di risolverlo coerentemente.
Due grandi principi vengono affermati nei due articoli 27 e 28; e se anche la loro formulazione può essere in qualche modo emendata o trovata forse generica e un po’ retorica, questi due grandi principi, cioè la libertà d’insegnamento e la possibilità per tutti di entrare in qualsiasi grado della scuola, evidentemente corrispondono al punto storico della nostra società, corrispondono alle esigenze interne del mondo moderno, corrispondono alle esigenze cioè di portare il maggior numero di persone al possesso dell’istruzione, della tecnica ed alla consapevolezza conseguente di questo possesso; a quello sforzo di profondità e di vastità che, secondo uno scrittore francese, André Malraux, rappresenta il dramma e l’esigenza del mondo moderno: dare al numero maggiore possibile di persone il possesso di cognizioni, ma insieme dare ad esse la possibilità e la consapevolezza della loro destinazione umana.
Naturalmente, sul principio dell’afflusso di forze nuove, di forze fresche, di forze popolari nella scuola credo che il consenso sarà facilmente ottenuto da parte di tutti, anche perché si potrebbe dire con qualche malignità che forse, anche quelli i quali non ammettono questo ingresso delle masse, delle moltitudini sul terreno della cultura e della scuola, non avrebbero certamente il coraggio di esprimersi diversamente. Su questo principio sarebbe facile evidentemente per un socialista fare della demagogia, fare della retorica; ma in questo caso ogni demagogia, ogni retorica è annullata dalla realtà stessa dei fatti, dalla necessità che il nostro Paese ha in questo momento di rinsanguare in ogni modo la sua stanca classe dirigente. Credo perciò che su questo punto non occorra spendere troppe parole. Tutti sentiamo egualmente questo problema che non è soltanto un problema di giustizia sociale, ma, come già un oratore precedente, mi pare l’onorevole Giua, ha detto, è un problema di utilità nazionale, riguarda un bene di tutti.
Molto più delicato invece è il principio che afferma la libertà d’insegnamento; molto delicato, anche perché questo afflusso che noi desideriamo e vogliamo di forze fresche, questo criterio unico del merito che noi vorremmo garantito nella Costituzione con la più energica sottolineatura (e perciò nell’emendamento all’articolo 28 sosterremo che si debba dire "solo i capaci i meritevoli anche se sprovvisti di mezzi ecc."), porta con sé un particolare problema nel creare nella scuola le condizioni adatte per accogliere queste nuove forze che vi entrano. Questo punto della libertà d’insegnamento è uno di quei punti e di quei principi in cui la grande parola "libertà" è suscettibile di troppo diverse determinazioni. Può essere qualche volta perfino, come si dice in certi stili nisi mendacium, non altro che menzogna, può essere un tranello, può essere pericoloso tranello. Evidentemente proprio su questo punto si può spiegare il contrasto e vorremmo dire che non ci si dolga se in casi di tanta importanza, si verrà a svolgere un contrasto nei suoi veri termini, specialmente di fronte ad una società come quella italiana, in cui troppo spesso l’uso tendenzioso e antitetico delle stesse parole ha generato una strana confusione.
Molti equivoci sono sorti intorno a questa parola e particolarmente intorno a questo principio della libertà d’insegnamento. Il mio intervento vorrebbe avere l’effetto di sgomberare possibili equivoci da parte nostra. E, poiché io credo di parlare non solo per me e per il Gruppo che rappresento, ma anche per le sinistre in genere, e per tutte quelle forze democratiche di origine schiettamente e profondamente liberale e democratica che si trovano in questa Assemblea, penso che in questo caso noi tutti almeno, vorremmo sgomberare da possibili equivoci questo principio: e con ciò renderemo più facile anche il combattimento, anche la battaglia che certamente avverrà su questo punto. Infatti quando si parla di libertà di insegnamento, da parte di alcuni si vuole arrivare a conseguenze che noi non possiamo accettare e che sono in contrasto con lo stesso principio da cui dovrebbero derivare. Voglio chiarire che si comincia a dire da parte di alcuni che se c’è una scuola libera, che se c’è libertà della scuola, su questa strada si incontra come ostacolo la scuola di Stato, la scuola che alcuni dicono monopolistica; e secondo alcuni si arriverebbe perfino ad una equazione del tutto inaccettabile fra scuola libera e scuola privata. E questo io trovo proprio in una pubblicazione recente di un cattolico, Dante Fossati, che dice: "Non parliamo più di scuola pubblica e scuola privata; parliamo di scuola di Stato e scuola libera".
Vedete dunque, onorevoli colleghi, a quale punto di contraddizione si può arrivare: a negare il carattere di scuola libera proprio a quella scuola che secondo me e secondo molti altri e perfino secondo alcuni colleghi democristiani, è invece la scuola veramente e, in senso superiore, unicamente libera. La scuola in cui tutti quanti senza tessera e senza certificato di fede possono entrare; la scuola in cui il merito dei discenti e dei docenti è misurato soltanto sulla loro buona fede e sulle loro capacità; la scuola per cui già un grande socialista, della cui democrazia nessuno dubita, cioè Turati, diceva che, in senso più stretto, di libertà della scuola, di scuola libera si può parlare solo nella scuola di Stato, "campo aperto a tutte le concezioni della vita, onde il dovere assoluto del rispetto incondizionato della libertà di coscienza". E un altro scrittore socialista, Rodolfo Mondolfo, rivolgeva un invito che noi qui vorremmo ripetere e rivolgere a tutti i colleghi di qualsiasi partito e di qualsiasi fede; l’invito a non considerare mai le giovani coscienze, quasi come colonie di sfruttamento; di rispettare profondamente in loro la possibilità appunto di questa libera formazione che si può trovare solo nella scuola di Stato.
Né occorre fare lunghe disquisizioni su questo; è la nostra esperienza che parla a favore della scuola di Stato; è il fatto che tutti, o quasi tutti noi siamo insieme cresciuti in questa scuola di Stato, eppure siamo diventati in casi diversi, cattolici e buoni cattolici; socialisti, e buoni socialisti; comunisti, e buoni comunisti.
Ma che cosa abbiamo trovato in quella scuola - anche se molti di noi l’hanno frequentata nel suo periodo più triste - che cosa abbiamo trovato che ce la fa sentire così cara e così unicamente libera? Abbiamo trovato lì dei professori che potevano portare voci diverse, e gli scolari venivano educati secondo i meriti, la capacità, la buona fede. Si può dire che una simile garanzia di libertà, di lıbera formazione, venga data dalla scuola privata?
Io non credo. Tutti sappiamo bene che ci sono scuole private e scuole private. Ci sono scuole private di origine commerciale, di origine di guadagno, scuole private in cui il limite più evidente, più serio, più immediato è appunto questo: che non è tanto uno scopo educativo che esse si propongono, quanto piuttosto uno scopo di guadagno, uno scopo di iniziativa industriale. E in verità, per queste scuole, se noi ammettiamo che ci siano a volte delle persone che le creano con uno scopo più alto, dobbiamo dire che lì non si tratterà tanto di una preoccupazione educativa, di libera formazione, quanto piuttosto di una preparazione utilitaristica, di una preparazione in vista di esami di una preparazione per rendere più facile il conseguimento di certi diplomi e, diciamolo pure, per istruire gli scolari nelle gherminelle più astute per poter poi frodare gli esaminatori, per conseguire un diploma.
Non è per questa scuola certamente che noi possiamo scaldarci, non è per questa scuola di iniziativa privata che gli zelatori della libertà della scuola nella sua forma più ampia possono sentir battere il loro cuore.
Ma c’è un altro tipo di scuola privata, che è la scuola di parte o la scuola confessionale. E questi due termini, io li uso in questo momento senza particolari riferimenti, perché evidentemente è di parte anche una scuola che dipenda da autorità religiose, come è confessionale anche una scuola che dipendesse da un partito: sono, direi così, confessionali o di parte nel senso più vasto della parola, in quanto esse non mirano a formare una persona completamente libera e cosciente della dignità di tutte le varie verità, ma mirano piuttosto a formarla secondo un modello prefissato, secondo un figurino; e noi uomini moderni lottiamo proprio contro i modelli, proprio contro i figurini; lottiamo per uomini che siano coscienze aperte ed animi liberi, credendo fermamente che sarà un miglior cattolico, o un miglior socialista, o un miglior comunista colui che, nella sua infanzia o nella sua gioventù, avrà avuto questa educazione più larga che non piuttosto colui che sarà stato nella sua infanzia e nella sua gioventù come una monade chiusa ed ostile.
Noi, in omaggio ad un principio più vasto e formale, possiamo ammettere ed ammettiamo che alcuni individui desiderino una formazione chiusa (noi la qualifichiamo così). Possiamo ammettere un’aspirazione, che è per noi sostanzialmente illiberale, e antidemocratica, ma non possiamo ammettere che la forza di queste scuole di parte possa ad un certo punto diminuire l’efficienza o addirittura far decadere completamente la scuola di Stato, la scuola libera e capace di realizzare una libera formazione.
È su questo punto che, senza equivoci e con la lealtà, e rendendo omaggio ai nostri avversari proprio in quanto consideriamo che essi sanno quello che vogliono, come noi sappiamo quello che vogliamo, è su questo punto che noi sosterremo la nostra battaglia, perché sull’equivoco della libertà dell’insegnamento non si venga a negare la vera libertà della scuola e la vera libera formazione delle coscienze.
È su questo punto che io vorrei dire - e lo dico specialmente rispetto ai democristiani per quanto possa dispiacermi che sempre dalla sinistra ci si debba rivolgere proprio ai democristiani - che in sostanza questa scuola di parte viene ad insidiare, viene a limitare la scuola pubblica; che questa scuola di parte sta dando in questo momento un assalto sfrenato alla scuola dello Stato.
Essa è soprattutto, infatti la scuola di una parte, la scuola di una confessione. Non ci si venga a dire che noi dicendo ciò, mostriamo di essere degli adoratori dello Stato, che in noi c’è una sfrenata statolatria; non ci si venga a dire che noi ci contrapponiamo alla tesi "liberale", mettendo in contrasto il principio liberale con il nostro pensiero, perché, secondo noi, invece la tesi "liberale" più genuina è proprio per la scuola di Stato.
E qui ci conforta non solo la nostra esperienza storica, non solo l esperienza della scuola italiana, ma ci confortano altresì le dichiarazioni che abbiamo fatto sopra. Non si tratta di un’esigenza liberale contro gli adoratori dello Stato, ma, se mai, si tratta di utilizzazione della tesi liberale che viene fatta per uno scopo che è tutt’altro che liberale, da parte di una confessione che per lo meno trae le sue origini da dottrine che non hanno alcuna comunanza con la dottrina liberale, dottrina squisitamente e profondamente nata dal pensiero moderno.
Possiamo dire a questo proposito, quando si fa questa contrapposizione, che dovremmo non pensare ad un contrasto fra coloro che adorano lo Stato - che saremmo noi della sinistra - e coloro che adorano la libertà: ma piuttosto riferirci all’immagine di coloro che adorano il monopolio e lo cercano per la strada della libera concorrenza.
Questo criterio è un criterio assai utile per distinguere quelli che sono profondamente liberali e democratici da coloro che liberali e democratici non sono.
Quando un partito, quando una confessione, ha dimostrato in altri tempi e condizioni - e lo può dimostrare tuttora - di essere pronto ad esercitare un monopolio e viceversa ricorre alla libera concorrenza quando non può esercitare questo monopolio, è evidente che la seconda linea, quella della libera concorrenza è puramente sussidiaria, è una linea di ripiego tattico.
Quando noi pensiamo a questa tesi della libertà di insegnamento nel suo equivoco di libertà per la scuola di parte, vediamo che questa è una tesi che è nata con l’utilizzazione di idee liberali da parte della tesi cattolica. Non farò una lunga dimostrazione storica. So già che altri colleghi sono pronti per questo. So, ad esempio, che il collega Bernini, che ha dato prova di una particolare competenza in un suo recente libro sull’argomento, parlerà su questo tema. Ma basterà ricordare che la Chiesa cattolica, dopo avere largamente usufruito dei regimi assoluti in Francia, dopo l’avvento di Luigi Filippo, nel 1831, non potendo più sfruttare le posizioni di privilegio nel campo scolastico, ripiegò su questa nuova linea con tale discordanza, che in quel periodo molti cattolici francesi rimasero sbandati e stupiti, tanto più che in quello stesso periodo una enciclica di Gregorio XVI ribadiva la scomunica, la condanna di ogni tesi liberale. E questa tesi di origine liberale, ma sfruttata con scopi non liberali, coesisteva con le tesi di carattere assoluto in quegli Stati assoluti, come i principati italiani, in cui la Chiesa nello stesso periodo si guardò bene dal fare campagne per la libertà della scuola e dell’insegnamento. E senza spingerci troppo in questo esame di carattere storico, vogliamo anche dire che quando da parte di polemisti cattolici si dice che quella è la vera tesi della libertà, che lì c’è la vera libertà d’insegnamento, noi vogliamo ricordare loro che questa libertà dell’insegnamento trova subito in campo cattolico un grosso e naturale limite che nasce dalla dottrina cattolica. Quando noi pensiamo ad alcuni testi autorizzati, o magari alle pubblicazioni della "Civiltà Cattolica" o di "Vita e pensiero" o di "Etudes", quando noi leggiamo testi ufficiali come alcune encicliche papali, vediamo che da parte cattolica, mentre si proclama la libertà d’insegnamento, nello stesso tempo si porta una distinzione che viene a minare quella stessa libertà tanto conclamata.
Si fa distinzione infatti fra verità ed errore. I1 padre gesuita Barbera, in una sua notevole pubblicazione sulla "Civiltà Cattolica", nel 1919, diceva: "Libertà per tutti naturalmente, però non possiamo ammettere, per esempio, una scuola anarchica". E poi ancora: "Perché tutto ciò? Perché la verità assoluta è una sola, e solo ad essa in linea assoluta spetta di comparire nell’insegnamento".
E nell’enciclica di Pio XI, già citata questa mattina dal collega Preti, a proposito dell’educazione cristiana della gioventù (che fu emanata dal Papa quasi a commento del Concordato), si viene a dire che dal momento in cui Dio si è rivelato nella religione cristiana, non vi può essere nessuna perfetta educazione se non quella cattolica; e poi si precisa - usufruendo di due pericolosissime parole inserite nel Concordato, e che mediante l’articolo 7 ci ritroveremo di nuovo davanti: "fondamento e coronamento della educazione è l’insegnamento della dottrina cattolica" - che questo coronamento e fondamento si possono intendere sul serio solo se tutta l’educazione viene saturata da princípi cattolici.
Non vi è dunque possibilità di equivoci su questo punto; quando si fa distinzione fra verità ed errore, e per errrore s’intende inevitabilmente tutto ciò che si scosta dalla precisa linea cattolica, evidentemente è ben difficile proclamare poi la libertà piena d’insegnamento per tutti.
Sono dunque i colleghi democristiani che in qualche modo, e non so esattamente in quale forma, porteranno la loro discussione su questo punto, cercheranno di far prevalere la tesi della scuola libera nel senso della libertà della scuola di parte. Se la libertà della scuola di parte potesse avere il suo pieno sviluppo, porterebbe inevitabilmente alla distruzione della scuola libera, porterebbe all’urto delle diverse concezioni, porterebbe, secondo noi, alla fine di ogni formazione veramente libera e veramente democratica. È per questo che noi crediamo che la scuola di Stato vada difesa e che chi difende la scuola di Stato non fa opera di parte, ma fa gli interessi del Paese e gli interessi della democrazia.
Ed è per questo anche che ci si preoccupa quando vediamo che da alcune parti si chiede la parità tra scuola privata e scuola di Stato. Bisogna intenderci bene chiaramente su questa parità. Noi abbiamo detto - e lo dimostreremo anche in sede di emendamento - che non neghiamo il principio della libertà di insegnamento, non neghiamo affatto che, se alcuni cittadini lo desiderano, si facciano da loro una scuola di un certo tipo, una scuola di forma "chiusa", ma noi non vogliamo che alla scuola di Stato vengano strappate concessioni che la metterebb ero in condizioni di assoluta inferiorità.
Quali sono i punti sui quali noi non possiamo cedere, i punti su cui noi siamo disposti a dare battaglia? Sono tre punti che sono stati portati questa mattina in discussione da altri colleghi.
Anzitutto lo Stato solo ha diritto di concedere diplomi allo Stato solo compete il diritto degli esami. E su questo punto vorrei illuminare i colleghi, perché bisogna guardare che cosa si intende per esame di Stato, dato che questa precisa formula "esame di Stato", comparve in quella carta della scuola, in quella carta Bottai che ha poi rovinato la scuola italiana, perché ha ridotto gli esami di Stato ad una triste burla, in quanto non è più una commissione governativa che esamina, non è più presso la scuola di Stato che si fanno gli esami ma tutto si è ridotto all’invio nelle varie scuole di commissari che purtroppo, il più delle volte, vengono anche facilmente influenzata dall’ambiente in cui improvvisamente ed isolatamente vengono a trovarsi. Così ogni dignità, ogni controllo è tolto alla scuola italiana. Noi intendiamo invece gli esami di Stato nella loro forma originaria o in una forma che si possa studiare, ma che garantisca la dignità della scuola.
Ma, oltre gli esami, c’è un altro punto importante a cui noi teniamo. Compare e non so come mai ci sia entrata - compare nel progetto della Costituzione, ad un certo punto, la parola estremamente equivoca di "parificazione". I colleghi sapranno che in Italia attualmente, oltre alle scuole governative, oltre alle scuole che non chiedono che una generica autorizzazione, ci sono le scuole pareggiate e quelle parificate. E vorrei far notare la grande differenza che c’è tra queste due forme: la forma più seria, più anUca, la forma del pareggiamento, la forma che garantisce la dignità della scuola in quanto i suoi insegnanti provengono da concorsi e la parificazione che è un po’ come un’etichetta che viene posta su una bottiglia, convalidandone il contenuto senza conoscere di che contenuto si tratti. Ed è di questo ultimo istituto che le scuole private si sono awantaggiate dopo la carta Bottai, anche se il decreto di istituzione della parificazione risale al 1925. Ebbene, io vorrei far osservare che anche in questo caso chi ha approfittato, chi ha utilizzato soprattutto la parificazione sono state le scuole di parte, quelle uniche scuole di parte che possono esistere in Italia. Perché anche su questo punto bisogna ben chiarirci. Non ci si venga a dire che questa parità della scuola di parte può interessare i comunisti, i socialisti o i repubblicani, perché noi sappiamo, e lo dicono i fatti, che in Italia, nelle nostre condizioni storiche, non c’è possibilità se non da parte cattolica di avere delle scuole confessionali.
Orbene le scuole confessionali sono quelle che più hanno cercato di ottenere la parificazione. Le statistiche parlano chiaro. Mentre fra le scuole pareggiate quelle che dipendono da autorità religiose sono soltanto 12, e quelle dipendenti da enti morali sono 300, quando si passa al capitole scuole parificate, in cui si contano 400 o 450 scuole dipendenti da enti morali, le parificate dipendenti da enti religiosi salgono a 1160. Il che permette di pensare che ci sia comunque una strana preferenza dell’autorità religiosa per questa forma! Quando verremo alla proposta degli emendamenti noi proporremo dunque che questa formula equivoca della parificazione sia esclusa, e che si adotti la formula più seria del pareggiamento.
Un ultimo punto su cui non potremo non scontrarci con i rappresentanti della Democrazia cristiana è la questione della concessione di sovvenzioni. Stamane ho sentito qualcuno di parte democristiana osservare: ma nessuno le chiede! Io sarei lietissimo che nessuno le chiedesse, ma temo che questo mia speranza non si realizzerà (Interruzioni).

MORO. Non le abbiamo chieste e non le chiediamo!

BINNI. Naturalmente siamo abbastanza ben preparati per saper distinguere la forma più rozza dalla domanda di queste sovvenzioni, la forma cioè diretta della sovvenzione alla scuola, dalla forma più elegante, per cui la sovvenzione è data alle famiglie, agli scolari, o va alle scuole mediante la cosiddetta "ripartizione scolastica". Ma noi terremo in ogni caso fermo che sovvenzioni a scuole private non si devono dare. Noi non accetteremo e credo di interpretare il pensiero di molti, non accetteremo la richiesta di alcuna sovvenzione a scuole private, perché queste sovvenzioni hanno l’unico risultato di dare maggiore forza alle scuole private diminuendo l’efficienza delle scuole di Stato.
Basta pensare, per ricordare l’argomento più umile, che molto spesso i fautori della scuola privata vengono a mettere in dubbio la forza della scuola pubblica, dicendo che la scuola pubblica gode di un piccolo bilancio, e che, quindi, è molto bene, nell’interesse nazionale, che la scuola privata possa integrarla nelle sue deficienze. Ma se la scuola di Stato, che ha già tante difficoltà e ha un così magro bilancio, dovesse spartire questo magro bilancio con le scuole private, decadrebbe anche dalla situazione in cui attualmente si trova a causa di tutte le concessioni che lo Stato delittuosamente ha fatto al momento della guerra e della carta Bottai.
Non possiamo ammettere questa ripartizione scolastica, perché nella situazione attuale - ed è inutile riferirsi a condizioni di là da venire - noi sappiamo che di scuole confessionali non ci sono altro che le cattoliche, sicché la scuola statale se dovesse dividere il suo bilancio con esse finirebbe per essere liquidata del tutto, a loro unico favore e non a favore della "libertà".
È perciò che io credo nella possibilità di un contrasto e termino il mio intervento senza far troppi di quegli inviti, che abbondano in questa Assemblea, senza quegli allettamenti che secondo me qualche volta diminuiscono il rispetto dei nostri avversari.
Io, però, devo dire due cose ancora ai colleghi democristiani.
Da una parte, che, in verità, quando sento come ho sentito stamane l’onorevole Colonnetti dire che anch’egli ha voluto che i suoi figli andassero nella scuola pubblica e che per lui la maggior libertà è nella scuola pubblica, provo veramente enorme simpatia e gioia; sento che in questo caso potrei dirvi: colleghi democristiani, non rifiutate questo terreno comune, così importante per la democrazia italiana.
Vorrei dirvi che la scuola pubblica ci unisce e la scuola di parte ci divide.
Se penso ai miei figli ed ai figli di alcuni miei amici democristiani, non vorrei che essi fossero separati e desidererei che, come noi siamo stati educati insieme, così anche essi lo fossero.
Vorrei che non fosse rotta quella solidarietà, quell’unità, formatasi anche nell’esperienza dura della lotta contro il tedesco oppressore, vorrei che non si venisse ad infrangere, perché c’è bisogno assoluto di questa comprensione democratica; la quale non si può avere, se formiamo gli individui secondo un modello, secondo una linea, secondo un criterio inevitabile di parte.
Questo è l’unico invito, che facciamo non solo come uomini di scuola, ma come uomini liberi, che tengono senza sottintesi alla democrazia.
D’altra parte, voglio dire che, se la battaglia che potrebbe nascere nella Costituente dovesse andare fuori dalla Costituente e dovesse diffondersi nel Paese - come mi pare che si accenni attraverso certi appelli, che pervengono anche a noi, attraverso certe pubblicazioni d’un Fronte della famiglia, con tante firme, con milioni di firme (e direi, fra parentesi, che non mi pare di buon gusto portare qui dentro il peso di firme, che saranno certamente sincere, ma qualche volta sono del tutto ignare) - se questa battaglia dovesse uscire dalla Costituente, allora la combatteremmo, con la certezza di non essere stati noi a scatenarla.
Noi non portiamo un attacco, ma una difesa; non andiamo all’assalto dell’altrui posizione, ma vogliamo difendere la posizione della libera formazione.
Su questo punto saremo irremovibili, e lo dico senza nessuna retorica e senza nessun astio, ma con la coscienza di difendere non una parte, bensì l’unica possibilità di una formazione di persone aperte, capaci di una lotta democratica.
Senza questo, la nostra Nazione non può risorgere e non potrà gettare le premesse d’una società degna di questo nome, e resterà invece in quel ruvido mondo di rapporti ostili e diffidenti da cui dobbiamo al più presto liberarci. (Applausi a sinistra - Congratulazioni).