La scuola pubblica, “frontiera dell’ignoranza”. Una tavola rotonda dell’Espresso (11 febbraio 1962)

All’inizio del dicembre 1997 Walter Binni avrebbe dovuto intervenire al convegno “La scuola al bivio”, promosso da «Scuola e Città» insieme ad altre riviste educative dell’area laica. Binni scomparve alcuni giorni prima: la sua presenza comunque vi fu, non in termini puramente rievocativi, ma nella rilevanza a tutti ben nota dei suoi assidui contributi al dibattito culturale e politico sulla scuola pubblica, a partire dal suo impegno di parlamentare socialista all’Assemblea Costituente, e da uno storico intervento, il 17 aprile 1947 (in Tracce e documenti, Discorso all’Assemblea Costituente sulla scuola pubblica). Conclusa l’attività della Costituente, Binni non svolse più, dopo il 1948, una funzione politica diretta nelle istituzioni, ma portò avanti, nell’Università, un insegnamento che potesse sempre coinvolgere gli aspetti civili ed etici dell’intellettuale, e di quel particolare intellettuale la cui vocazione è insegnare; fu poi tra gli esponenti più attivi dell’ADSN, l’associazione per la difesa della scuola nazionale, e dell’ADESSPI, l’associazione dei docenti per la difesa della scuola pubblica.
I momenti più significativi di questo percorso cinquantennale sono molti, ma due almeno vanno ricordati. E sono gli interventi di Binni, decisivi anche sul piano del capovolgimento di situazioni in corso, in due Università in cui insegnò, Firenze (dal 1958 al 1963) e Roma (dal 1964 alla pensione). Nella prima, Binni fu determinante nel cambiare, in accordo con non molti colleghi della Facoltà di Lettere e Filosofia, ma con l’appoggio totale degli studenti democratici, i rapporti di forza al vertice del governo universitario, dando vita a un dialogo fino ad allora assente tra professori e studenti, tra Università e città (nel maggio-giugno 1961, vedi in
Tracce e documenti, “L’agitazione universitaria a Firenze), con una delle primissime occupazioni di facoltà universitarie in Italia; nella seconda, dove si era trasferito nel 1964, Binni dette un contributo decisivo nel mostrare ai giovani che non tutto il mondo universitario era fatto di accademici autoconferitisi poteri di “baroni” (quel termine entrò proprio allora nell’uso comune). Quando nel 1966 aggressioni di squadracce neofasciste agli studenti democratici, ben tollerate dagli organi di governo dell’Università, portarono all’uccisione, di fronte alla Facoltà di Lettere, del giovane Paolo Rossi (vedi in Tracce e documenti, “Omaggio a un compagno caduto”), Walter Binni spiccò tra quegli educatori che furono chiaramente distinguibili dai baroni, e per opera dei quali il rettore dell’epoca fu costretto a dimettersi.
Negli interventi pubblici all’interno dell’Università di Roma in quell’occasione Binni ammonì tutti e in special modo i partiti della sinistra ad aprire prima che fosse troppo tardi un discorso ultimativo e più complesso sui rapporti tra politica, cultura e scuola.
Vogliamo ricordare quel quinquennio 1961-1966 riproducendo la parte iniziale di un dibattito sulla scuola tenuto a cura della rivista «L’Espresso» nel febbraio 1962, con la partecipazione di Walter Binni, Adriano Buzzati-Traverso, Aldo Capitini, Eugenio Garin, Cesare Luporini, Carlo Ludovico Ragghianti (presidente dell’ADESSPI). La tavola rotonda fu pubblicata nel numero dell’11 febbraio 1962 con il titolo “La frontiera dell’ignoranza. Motivi per una nuova politica della scuola”. In apertura, un box redazionale: “Come affronterà il nuovo governo (il primo governo di centro-sinistra, ndr) i problemi della scuola? Il piano decennale presentato un anno fa dal ministero Fanfani è ormai praticamente accantonato. I fondi per realizzarlo sono già stati stralciati ed impiegati per provvedimenti d’urgenza. La maggioranza, oggi, non ha dunque un programma organico per la scuola. Restano i piani elaborati da alcuni partiti, come il PSI, ed alcuni organismi come l’ADESSPI che al problema della scuola dedicano da anni la loro attenzione. Sono adeguati alle necessità di sviluppo della scuola italiana?”

RAGGHIANTI La prima domanda è questa. Per la ricostruzione e lo sviluppo della scuola, pensate che si possa separare la riforma della spesa, oppure che vi sia stretta interdipendenza? Ritenete che gli studi politici, sociali e pedagogici svolti in questi ultimi quindici anni consentano una rapida legislazione generale di riforma, e che il Parlamento possa affrontarla, sia pure con procedute straordinarie d’urgenza?

BINNI Oggi non è in gioco soltanto lo sviluppo della scuola, ma quello della stessa società italiana. Mi riferisco a uno studio della Svimez dove si spiega quale sarà press’a poco l’organizzazione economica del nostro paese tra quindici anni e quanti e quali quadri tecnici le saranno necessari, laureati, abilitati, e così via. È chiaro che per avere una scuola adeguata a quelle esigenze occorre uno sforzo finanziario notevole. Anzi, si tratta addirittura d’impostare in modo nuovo certe scelte di politica economica. In questo senso spesa e riforma sono inseparabili. Il bilancio della Pubblica Istruzione dovrà essere molto diverso da quello di oggi, se non vogliamo rinunciare in partenza ad una prospettiva positiva di sviluppo economico.

LUPORINI D’accordo, ma non mi limiterei al lato economico della questione. È vero, la società italiana è assetata di qualifiche e di tecnici, a tutti i livelli d’attività, e solo uno sforzo prolungato di investimenti può farci superare il ritardo. Però c’è anche un problema di scelta politica. Non si tratta soltanto di vincere il conservatorismo scolastico e di difendere la scuola pubblica, ma di ottenere che il regolamento della scuola soddisfi anche le fondamentali esigenze di progresso democratico, e non sia determinato soltanto dagli interessi di quelle forze che oggi dirigono il neocapitalismo.

RAGGHIANTI Dato che s’è parlato di scuola pubblica vorrei insistere un momento su questo punto. Durante la Costituente si discusse a lungo sulla parità di diritto tra scuola pubblica e privata; e alla fine l’assemblea votò gli articoli 33 e 34 della Costituzione stabilendo che la Repubblica detta le norme generali sull’istruzione e istituisce scuole statali per tutti gli ordini e gradi, e che enti privati hanno diritto d’istituire scuole, ma senza oneri per lo Stato. Da allora in poi il partito di maggioranza ha usato il potere per non applicare le norme costituzionali, e per qualche anno ha cercato di fare approvare una legislazione in contrasto con esse. Pensate che attuare la Costituzione sia il fondamento per ogni politica scolastica democratica?

CAPITINI Sappiamo tutti che la Costituzione non va vista solo nelle sue formulazioni, ma in tutto il moto di cui fu l’espressione, in quell’impetuosa volontà di giustizia e novità sociale, di libertà e garantite autonomie. Di tale chiara volontà s’è avuta in tanti anni non l’esecuzione, ma il rallentamento e l’arresto. La DC ha contrastato l’ascesa di tutto il popolo italiano e pervade organicamente tutto lo Stato nel controllo e nelle responsabilità, potenziando le strutture centralistiche e l’influenza dei gruppi capitalistici e delle gerarchie ecclesiastiche. Bisogna rifarsi, dunque, alla Costituzione e a quella volontà rinnovatrice, e non restauratrice.

BINNI Come deputato alla Costituente ho partecipato all’elaborazione degli articoli 33 e 34, e desidero ricordare che, per quanto riguarda i partiti da me rappresentati la preoccupazione fu di salvaguardare il principio della libertà d’insegnamento insieme al diritto di libertà di scelta dei cittadini. Quindi: piena libertà per i privati d’istituire scuole, purché si rispettassero le norme generali e non s’implicassero oneri per lo Stato. In tal modo si riconosceva la libertà per tutti, ma insieme si stabiliva che i denari pubblici dovevano essere spesi per le scuole pubbliche, cioè per le scuole in cui tutti, insegnanti ed allievi, possono esercitare il loro diritto di libertà d’insegnamento e di pensiero senza nessuna discriminazione. Desidero inoltre ricordare che il comma “senza oneri per lo Stato” fu accettato non solo dalle sinistre, dai liberali e da altri partiti di destra, ma che la scuole in cui tutti, insegnanti ed allievi, possono esercitare il loro diritto di libertà d’insegnamento e di pensiero senza nessuna discriminazione. Desidero inoltre ricordare che il comma “senza oneri per lo Stato” fu accettato non solo dalle sinistre, dai liberali e da altri partiti di destra, ma che la stessa DC, dopo aver cercato inutilmente di sostituirlo con altre formule, lo ha implicitamente fatto proprio quando ha dato il suo voto a tutto l’insieme della Carta costituzionale. Ogni rifiuto dell’articolo 33 costituirebbe dunque una chiara violazione della Carta costituzionale. […]