"Orizzonti di gloria di Kubrick"

In me è nettissimo il ricordo (già prova della sua consistenza e della sua forza espressiva) di Orizzonti di gloria (o meglio Paths of glory, sentieri di gloria, secondo il titolo originale) visto da me nel ‘58, in un periodo in cui un uomo di sinistra poteva anche ipervalutare, per la loro simile tematica, fılm come Ultima spiaggia di Kramer (ma forte resta di questo il fınale, prima con i cittadini in disciplinata fıla a ricevere la pillola mortale e con gli ingenui canti dell’Esercito della salvezza, poi con la città, deserta e mossa solo dalle foglie e dalle carte sparse dal vento) o Non uccidere di Autant-Lara, tanto inferiori per spessore ideologico e artistico. Ecco: il fılm di Kubrick resiste proprio perché la sua ideologia era più profonda, e risolta - al di là di qualche eccesso oratorio dovuto alla stessa esacerbata passione civile del giovane regista - con energia coerente a livello espressivo.
Ne sono tuttora testimonianza evidente l’immagine ossessiva del "formicaio", visto dalla trincea francese, i lividi colloqui fra i due generali tra stucchi e mobili antichi in un vasto salone gelido e aristocratico, o il conclusivo canto, innocente e dolente, familiare e popolare della spaurita ragazzina tedesca (esibita con lazzi volgari dal verboso organizzatore della rappresentazione "offerta" ai soldati), che di per se stesso e nella profonda umanizzazione che provoca nei soldati "proletari" divenuti strumenti di massacro di se stessi e dei loro awersari "compagni", è giudizio fermo, e risolto nel visivo e nel sonoro, sull’infamia della guerra in generale e di quell’orribile guerra in particolare.
Tale attacco antimilitarista e antibellicista non a caso ritorna, pur nel successivo svolgimento della politica del regista, nel caos-geometria delle battaglie settecentesche di Barry Lyndon (con un’accusa alla guerra che "macina" i soldati che si battono per gli interessi dei propri oppressori), ingiustamente limitato, con l’accusa di calligrafısmo, da certi settori della sinistra che, mentre giustifıcano i prodotti più scadenti e basso-decadentistici purché ammantati di falso trionfalismo "positivo", finiscono poi per non capire prodotti di ben diverso valore e di ben diversa profondità ideologica e problematica.